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Mentre l’Europa chiede sanzioni a Israele per Gaza, l’Italia resta servile: niente ritiro dell’ambasciatore, nessun embargo, solo parole vuote. Il governo Meloni-Tajani si conferma il più vicino a Netanyahu, ignorando il diritto, l’etica e la volontà popolare.
Italia-Israele: sudditanza mascherata da diplomazia, l’ignominia di un governo inginocchiato
Mentre l’Europa si risveglia dal torpore e timidamente tenta di reagire ai crimini di guerra israeliani a Gaza, l’Italia si distingue per la sua ostinata inerzia. Peggio ancora: per la sua complicità.
Roma, insieme a Berlino, è oggi l’ultimo baluardo europeo a difesa di un’alleanza che ha ormai perso ogni legittimità morale, umana e politica. La tragedia di Gaza – che non può più essere ridotta a “conflitto” – parla la lingua del genocidio, della pulizia etnica, della distruzione sistematica. E l’Italia tace. Anzi, sorride.
Nel Parlamento italiano, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha pronunciato parole imbarazzanti nella loro tiepidezza: Israele “sta esagerando”, “le morti civili suscitano dolore”. Nessun accenno a Netanyahu, nessun uso del termine “crimine”, nessuna richiesta di sanzioni, nessun passo diplomatico concreto. L’intervento è sembrato più un esercizio di equilibrismo verbale che una posizione politica. Una resa. Anzi, una dichiarazione d’amore non corrisposto, umiliante e irresponsabile.
Il peso di un passato deformato e l’alibi della memoria
Intanto, il patto commerciale tra Ue e Israele – 45 miliardi di euro annui – resta intoccabile, e l’accordo militare bilaterale Italia-Israele è pronto a rinnovarsi automaticamente l’8 giugno, senza che alcuna voce istituzionale osi sollevarsi. Né un ambasciatore richiamato, né un embargo anche solo ipotizzato. Niente. Solo complicità e silenzio. E questo nonostante la stragrande maggioranza degli italiani, anche tra l’elettorato di destra, sia favorevole a un cambio di rotta.
Ma allora, di quale “scuderia” sono questi “ordini”? Qual è la catena di comando a cui Meloni e Tajani obbediscono, se non quella dell’atlantismo incondizionato e del ricatto morale legato al passato nazifascista dell’Italia? È questo il punto: Roma si ostina a leggere il presente col filtro del passato, e in nome di una memoria che dovrebbe servire a evitare nuovi orrori, finisce per giustificare i crimini odierni. Ma la storia non può essere un alibi eterno.
Israele oggi non è un fragile Stato minacciato: è una potenza militare che affama una popolazione assediata, distrugge ospedali e scuole, bombarda campi profughi. I numeri parlano da soli: decine di migliaia di morti, tra cui oltre 20.000 bambini. E mentre Spagna, Irlanda, Belgio chiedono l’embargo sulle armi e la sospensione dei rapporti, l’Italia si trincera nel vuoto diplomatico. Perché? Per paura? Per servilismo? O peggio: per calcolo?
Diplomazia del nulla e vergogna istituzionale
Il paradosso è che perfino la Commissione Europea, da sempre schierata a difesa di Israele, ha cominciato a cambiare tono. Ursula von der Leyen ha definito “abominevole” il comportamento israeliano. Eppure, questo nuovo risveglio europeo – per quanto tardivo e ipocrita – viene sabotato proprio dall’Italia. L’isolamento è politico, ma soprattutto morale. Il nostro Paese è oggi la voce fuori dal coro della giustizia, l’alleato più servile di Netanyahu in Europa.
Anche all’interno della maggioranza si aprono crepe. Il governatore del Lazio Francesco Rocca ha ammesso che, se Israele non si ferma, l’Europa dovrà imporre sanzioni. Ma a Roma, Meloni e Tajani fanno finta di niente. Anzi, si trincerano dietro l’ignavia e l’ipocrisia. Per loro, Gaza non è un campo di battaglia ma una calamità naturale. I colpevoli non esistono, le responsabilità si dissolvono. Un crimine senza carnefici, una strage senza colpevoli.
Il governo italiano ha scelto da che parte stare. E non è dalla parte del diritto internazionale, della pace, della vita. È dalla parte dei missili, delle bombe, dei massacri.
Nel nome di un’amicizia tossica, l’Italia si sta rendendo complice di una delle più grandi vergogne del nostro tempo. La sudditanza verso Israele non è più una scelta diplomatica, è una colpa politica. E come ogni colpa storica, un giorno sarà giudicata. Anche se, per ora, a pagare il prezzo, sono solo i Gazawi..
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