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Il PD finge interesse per Gaza per coprire due anni di silenzi e sviare l’attenzione dai referendum sul lavoro. Nega l’occupazione israeliana, equipara vittime e carnefici e disinnesca ogni conflitto sociale. È l’architrave del sistema, non l’alternativa.
Il problema è sempre il PD. Ipocrisia di regime
Anche quando in apparenza sembra che il Partito democratico si indirizzi verso posizioni più rispondenti allo spirito dei tempi e alla realtà dei fatti, questo mente sapendo si mentire.
L’improvvisa attenzione per Gaza è del tutto strumentale ad annacquare quasi due anni di mobilitazioni per il popolo palestinese, vissute con parole d’ordine cristalline: nella Striscia non c’è nessuna guerra ma una pulizia etnica programmata sin dal secondo dopoguerra con l’accelerazione genocida dei nostri giorni. Quindi non c’è un conflitto ma un’occupazione militare illegittima e criminale di uno Stato terrorista e vari partiti palestinesi che lottano per la liberazione anche con le armi.
Il Partito democratico questa verità storica la nega fermamente. Non sto parlando di biechi reazionari quali sono i componenti della fantomatica “Sinistra per Israele” bensì degli esponenti apparentemente più illuminati e sicuramente più scaltri nel nascondere i propri pensieri.
Dopo 19 mesi di imbarazzato silenzio i menestrelli democratici si accorgono che sì, in effetti si sta esagerando. Trump e Netanyahu cattivoni! E quindi la colpa cadrebbe sul Governo israeliano che usurperebbe le virtuose dinamiche presenti nella società civile dell’unica democrazia della zona. Quindi Israele quale corpo sano, solo sporcato da un premier che si iscriverebbe a pieno titolo nell’internazionale bruna.
Una posizione del tutto ipocrita e irricevibile che finisce per indicare Hamas e Governo Netanyahu come due facce della stessa medaglia e sottolineare la liberazione degli ostaggi israeliani quale condizione per arrivare a una pace, quindi legittimando l’idea che a scontrarsi siano due eserciti.
Ma questo attivismo sulla questione palestinese a scoppio ritardato, con la proposizione di una manifestazione il 7 giugno, ha anche un altro obiettivo, quello di far dimenticare definitivamente l’appuntamento referendario dell’8 e del 9 giugno. Il Partito democratico è difatti il grande assente nella mobilitazione della CGIL per i referendum sul lavoro.
Il motivo è semplice. Quelle disposizioni, oggetto dei quesiti, sono di matrice democratica e ancor’oggi la maggioranza di quel partito le rivoterebbe.
Il Partito democratico, comunque la si rigiri, assolve a un compito storico: quello di spoliticizzare la società e di disinnescare il conflitto sociale che caratterizza il modello democratico previsto nella nostra costituzione per sostituirlo con il modello di mercato previsto dai Trattati europei.
Questo imperativo categorico è assolto, indifferentemente a seconda delle fasi, da fazioni più liberal come quella di Elly Schlein, da fazioni più fedeli all’ortodossia di mercato in genere fautrici di governi tecnici, o da fazioni squisitamente bottegaie quale fu quella di Matteo Renzi.
Tutte concorrono per rendere il Pd l’architrave del sistema coniato nella seconda repubblica che vede i vincoli esterni di Ue e Nato al vertice delle istituzioni.
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