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Guerra tra India e Pakistan: 39 morti nei raid notturni

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India e Pakistan si scontrano con raid notturni: almeno 39 morti e 5 caccia indiani abbattuti. Islamabad denuncia aggressione all’ONU, mentre USA e Cina chiedono moderazione. Modi annulla il tour europeo, voli deviati e scuole chiuse nelle aree di confine.

Guerra tra India e Pakistan: escalation militare nella notte

Nella notte tra martedì e mercoledì, India e Pakistan hanno dato il via a una pericolosa escalation militare che ha provocato almeno 39 morti, tra cui due bambine, e l’abbattimento di cinque caccia indiani.

Nonostante gli appelli alla moderazione da parte di Stati Uniti e Cina, i due Paesi sembrano decisi a proseguire nello scontro, con accuse reciproche di aggressione e raid incrociati lungo il confine conteso del Kashmir.

L’attacco indiano e la risposta pakistana

Il governo indiano, guidato dal premier Narendra Modi, ha lanciato un attacco missilistico contro nove siti pakistani ritenuti “infrastrutture terroristiche” come rappresaglia per l’attacco del 22 aprile nel Kashmir indiano, che ha causato la morte di 28 turisti.

L’operazione, denominata Sindoor, ha colpito tre località: due nel Kashmir pakistano e una a Bahawalpur, nel Punjab. Secondo il governo di Nuova Delhi, l’obiettivo era eliminare le basi da cui partivano attacchi terroristici contro l’India.

Il Pakistan ha immediatamente risposto con attacchi di artiglieria in territorio indiano, colpendo la città di Poonch e provocando otto morti e 29 feriti. Inoltre, l’esercito pakistano sostiene di aver abbattuto cinque aerei da combattimento indiani, mentre l’India ha confermato la perdita di tre caccia precipitati per cause non ancora chiarite.

Reazioni internazionali e diplomatiche

La comunità internazionale ha espresso forte preoccupazione per l’escalation. Stati Uniti e Cina hanno chiesto moderazione, mentre il Pakistan ha chiesto l’intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, denunciando la “palese aggressione” indiana e la violazione della sovranità nazionale. La Cina, in particolare, ha espresso rammarico e invitato entrambe le parti a evitare un’escalation per preservare la stabilità regionale.

Sul fronte diplomatico, il Pakistan ha convocato l’incaricata d’affari indiana per protestare contro gli attacchi. Intanto, il premier indiano Modi ha annullato un tour in Europa, mentre Islamabad ha chiuso scuole e istituti pubblici nelle aree di confine per garantire la sicurezza dei civili.

L’attacco indiano ha causato anche notevoli ripercussioni nel traffico aereo internazionale: molte compagnie asiatiche ed europee hanno deviato i voli per evitare lo spazio aereo pakistano, temendo ulteriori scontri.

Sul piano politico, la decisione dell’India di sospendere il trattato di condivisione delle acque con il Pakistan rischia di aggravare ulteriormente la crisi, data l’importanza vitale delle risorse idriche condivise.

Delhi ha sospeso unilateralmente l’Indus Water Treaty, il trattato negoziato dalla Banca Mondiale nel 1960 che regola il flusso di sei fiumi nel bacino dell’Indo. In base all’accordo l’India controlla i fiumi orientali (Sutlej, Beas, Ravi), mentre il Pakistan quelli occidentali (Indo, Jhelum, Chenab). A Delhi sono consentiti specifici utilizzi dei corsi occidentali, purché per scopi che non alterino o comportino una perdita della massa d’acqua, come per esempio l’energia idroelettrica. Dunque, la sospensione del trattato significa avere mano libera per privare potenzialmente il Pakistan dell’80% circa dell’irrigazione necessaria all’agricoltura

 

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