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lunedì, Giugno 16, 2025
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Draghi si autocandida al Quirinale, i giornalisti applaudono: a cosa è ridotta la democrazia italiana?

Siamo agli applausi in stile mega direttore galattico dei giornalisti presenti alla conferenza di fine anno a Palazzo Chigi, quella in cui Draghi si autocandida al Quirinale. Segnali poco rassicuranti per la già malandata democrazia italiana.

Draghi si autocandida al Quirinale, i giornalisti applaudono

Durante la conferenza stampa di fine anno il premier Mario Draghi è stato applaudito al momento dell’ingresso in sala, poi quando ha finito la sua breve introduzione, ancora durante un paio di risposte, fino all’apoteosi dell’applauso finale a cui ha partecipato anche il presidente dell’Ordine Carlo Bartoli.

Siamo ormai al livello di Filini e Calboni che rivolti all’onorevole cavaliere conte Diego Catellani gridano: “E’ un bel direttore”, “è un santo”, “un apostolo”!

E questo è solo quel che riguarda la cornice, in cui la stampa fa da claque. Ma poi veniamo aì contenuti: lo strapotere di Draghi si stia rivelando nefasto per la nostra già malandata democrazia.

Le parole del premier sui destini del governo, lanciate ai media come se fosse il mandatario di se stesso legittimato ad esprimersi proprio sulla carica che attualmente occupa, sono il segno poco rassicurante di una deriva preoccupante per la salute pubblica.

Foto TgSky24

Mario Draghi si autocandida a Presidente della Repubblica, il segreto di Pulcinella

In realtà che il premier fosse in campo era il segreto di Pulcinella: il ministro Giorgetti ne aveva già lanciato la candidatura, arrivando incautamente ad affermare che con Draghi capo dello stato l’Italia sarebbe stata di fatto una repubblica (semi)presidenziale. La grande stampa economica internazionale aveva fatto eco dopo una prima incomprensione.

Infatti inizialmente Economist e Financial Times avevano speso articoli per spiegare che Draghi sarebbe dovuto rimanere dov’era, pena l’instabilità degli affari che è cio che più preoccupa l’area che rappresentano.

Evidentemente qualcuno ha poi spiegato loro che supermario come Presidente del Consiglio durerebbe al massimo fino al 2023, mentre a capo della Repubblica resterebbe fino al 2029.

Così Mario Draghi ha affermato di essere un nonno a disposizione delle istituzioni, ma ha posto due paletti pesanti a sostegno della sua candidatura. Il primo è stato quello di rassicurare i parlamentari preoccupati della possibilità di elezioni anticipate, affermando con certezza che con lui capo dello stato non si voterebbe prima del 2023.

In secondo luogo ha minacciato il centrodestra quando ha detto che “ci vuole un capo dello stato eletto da tutti“, alludendo al suo governo votato da quasi tutti,  ffondando così definitivamente la surreale candidatura di Berlusconi.

In definitiva è stato un segnale chiaro a Letta, Renzi e Salvini, che cercavano ancora di far finta di contare qualcosa: i giochi sono fatti.

Siamo al redde rationem di un sistema politico che dopo aver scardinato la Costituzione nei suoi principi sociali con le politiche di deregulation degli ultimi trent’anni, ora si prepara ad colpirla anche sulle regole democratiche. Con la complicità ignava di una classe politica completamente esautorata da ogni autonomia.

Foto Ansa

 

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Alexandro Sabetti
Alexandro Sabetti
Vice direttore di Kulturjam.it -> Ha scritto testi teatrali e collaborato con la RAI e diverse testate giornalistiche tra le quali Limes. Ha pubblicato "Il Soffione Boracifero" (2010), "Sofisticate Banalità" (Tempesta Editore, 2012), "Le Malebolge" (Tempesta Editore, 2014), "Cartoline da Salò" (RockShock Edizioni)

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