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Dopo 3 anni i media occidentali sono fermi ai russi come gli orchi di Mordor

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La rappresentazione dei russi veicolata dai media occidentali ancora oggi dopo quasi tre anni appare più negativa rispetto a come Tolkien descrive gli orchi nelle sue opere. La verità emergerà forse tra venti o trent’anni, ma il corso della storia – indipendentemente dalle giravolte di Trump – sarà determinato nei prossimi mesi.

La costruzione del nemico: i russi come gli orchi di Mordor

Di fronte a una narrazione mediatica così monolitica e univoca, talvolta è necessario rassegnarsi: presto o tardi, tutti saremo inevitabilmente favorevoli alla guerra permanente e al riarmo auspicato dalle élite europee. L’opposizione diventa quasi impossibile, poiché resistere significa sentirsi schierati dalla parte degli “orchi”, assumendo su di sé il marchio del nemico.

Non è nostra intenzione stabilire cosa sia vero e cosa non lo sia, ma non possiamo ignorare come, da quasi tre anni, i media offrano un’immagine dei russi più cupa e spietata di quella riservata agli orchi tolkeniani.

Sfogliando testate come Corriere della Sera, Repubblica o Linkiesta, oppure seguendo i telegiornali e le dichiarazioni di esponenti liberal-progressisti, emerge un quadro in cui le forze russe si macchiano sistematicamente di atrocità: stupri, uccisioni indiscriminate di anziani e bambini, un’aggressività apparentemente incontrollabile.

Parallelamente, episodi di violenza e brutalità di pari o maggiore gravità, come quelli perpetrati quotidianamente dagli israeliani a Gaza, non vengono raccontati con la stessa enfasi dalle stesse fonti. Perché questa disparità?

La nostra diffidenza deriva da un passato colmo di disinformazione sistematica, specie quando si tratta di giustificare conflitti armati. Dai massacri di Timisoara alle inesistenti fosse comuni in Kosovo – poi rivelatesi operazioni di propaganda orchestrate dai servizi segreti britannici – passando per le presunte armi chimiche in Iraq e Siria o le violenze attribuite a Gheddafi, si è trattato di costruzioni mediatiche smentite dai fatti. Il comune denominatore è sempre stato la necessità di creare un nemico disumanizzato, privo di sfumature o umanità, un mostro che giustificasse l’uso della forza.

Il rischio di destabilizzazione globale

Le politiche occidentali mostrano una pericolosa incoerenza: si dichiara il supporto ai diritti umani e alla democrazia, ma si armano regimi autoritari (Arabia Saudita, EAU, Turchia) e si finanziano eserciti responsabili di crimini di guerra (Sudan, Israele).

Il risultato è un ordine internazionale frammentato, dove gli interventi militari e le sanzioni accentuano il caos e la sofferenza delle popolazioni, senza che emerga una strategia di lungo termine credibile per la pace e la stabilità.

L’indeterminatezza degli obiettivi occidentali pone ulteriori interrogativi. La rivoluzione trumpiana si è sgonfiata nel giro di qualche “dazio”. Sulla Cina, vero obiettivo strategico della campagna del presidente USA, gli effetti sono stati controproducenti, con un rimbalzo negativo clamoroso sull’economia di Washington.

In Palestina l’occupazione dei territori e le operazioni militari a Gaza si susseguono, mentre l’Occidente finanzia in modo incondizionato Tel Aviv e ignora le risoluzioni Onu. La retorica “antiterrorismo” serve a legittimare i crimini di guerra israeliani che causano migliaia di vittime civili, alimentando una prevedibile radicalizzazione.

In Yemen la guerra tra governo riconosciuto e ribelli Houthi, iniziata nel 2014, ha provocato una delle più gravi emergenze umanitarie al mondo. Arabia Saudita ed Emirati — sostenuti da USA e Regno Unito — bombardano il Paese, ma il loro intervento non ha arginato gli Houthi né favorito un negoziato serio. Le sanzioni e il blocco dei porti aggravano carestia e collasso sanitario.

In Sudan, dopo la deposizione di al‑Bashir (2019), un fragile governo di transizione civile–militare è imploso in un colpo di Stato (2021). La rivalità tra esercito e forze paramilitari Janjaweed ha sfociato in combattimenti urbani, con migliaia di morti e due milioni di sfollati. Occidente e Banca Mondiale parlano di “sostegno alla democrazia”, ma continuano a finanziare l’esercito sudanese, principale responsabile della repressione.

L’ultima crisi, in ordine temporale, è quella tra India e Pakistan. Lo scontro tra due potenze nucleari si è intensificato dopo l’attentato del 22 aprile 2025. Scambi di artiglieria, bombardamenti mirati e retorica bellicista di Islamabad e Nuova Delhi mettono a rischio un’escalation atomica. Stati Uniti e Cina invitano alla moderazione, ma entrambi appoggiano strategicamente uno dei due contendenti: Washington privilegia l’India come baluardo anti‑cina; Pechino è alleato di Islamabad.

In Ucraina la pace in 24 ore annunciata in campagna elettorale dal tycoon si è rivelata quello che era: una sciocchezza. La guerra prosegue nell’incapacità di cogliere la strategia statunitense.

Alla fine, resta una domanda inquietante: che tipo di mondo stiamo costruendo per i prossimi decenni? Il sospetto è che ci si stia muovendo senza una visione chiara, in balia degli eventi. E se, alla fine, in questo gioco di poteri e narrazioni, fossimo tutti orchi?

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Marquez
Marquez
Corsivista, umorista instabile.

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