Prosegue in questi giorni il dibattito sulla pallavolista Lara Lugli, licenziata perché incinta. Tale questione ha sollevato, ancora una volta, un interrogativo sulle discriminazioni in gravidanza e sulla effettività delle tutele che accompagnano le madri-lavoratrici.
Discriminazioni in gravidanza
La Costituzione italiana prevede la tutela e la promozione della maternità. Per questa ragione, nel definire il lavoro come strumento fondamentale attraverso cui contribuire al progresso personale e sociale, i costituenti hanno sancito anche che in ogni caso le condizioni di lavoro debbano conciliarsi con le esigenze familiari, garantendo un’adeguata protezione alla madre e al bambino.

Diritto e discriminazioni
ll D.Lgs 151/2001 detta una serie di norme che riguardano la gravidanza e i primi mesi di vita del figlio. La premessa necessaria riguarda il fatto che queste tutele si applicano tanto in caso di figli naturali quanto adottivi ovvero in affidamento. Purtroppo c’è da dire che nella stragrande maggioranza dei casi la discriminazione ha il sopravvento, svilendo la corposa normativa in materia che nulla può di fronte alla domanda del selezionatore: “Lei ha intenzione di avere figli a breve?”.
La discriminazione si configura quando in fase di assunzione vengono fatte determinate domande illecite, che, peraltro, costituiscono ingerenza nella sfera privata della lavoratrice e violano il rispetto della personalità; le differenze di trattamento fondate sul criterio del sesso o su altri criteri aventi quale effetto quello di escludere persone di uno dei due sessi, ad esempio, appunto, la gravidanza; per le madri che vogliono reinserirsi nel modo del lavoro dopo una gravidanza: negazione di flessibilità degli orari, i congedi previsti dalla legge, indisponibilità dei nidi comunali, ecc. costituiscono tutti ostacoli che compromettono da subito le intenzioni delle lavoratrici.
Recentemente la Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 5476/21; depositata il 26 febbraio 2021), ha rilevato la casistica discriminatoria del mancato rinnovo di un contratto a termine a una lavoratrice che si trovava in stato di gravidanza, atteso che a parità della situazione lavorativa della medesima rispetto ad altri lavoratori, venivano favoriti in servizio i colleghi con contratti analoghi.
Conclusioni
Molte donne, purtroppo, ancora oggi, subiscono diverse ingiustizie come il licenziamento, il demansionamento e le discriminazioni durante e/o dopo la gravidanza. Non abbiamo ancora compreso che il fondamento della protezione dei diritti delle donne nel mercato del lavoro è il riflesso del principio di parità tra gli uomini e le donne.
È necessario un intervento ancora più incisivo da parte dell’Ordinamento. Ricordiamo che secondo l‟art. 23 della Carta di Nizza: “La parità fra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione. Il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato”.
LEGGI ANCHE
- La vittoria dei riders è storica, ma cos’ha detto la Cassazione?
- Telelavoro e smart working: normativa, vantaggi e insidie
- Lavoro: un’arma in più contro il licenziamento ritorsivo
[themoneytizer id=”68124-28″]