Con la sentenza numero 11705/20 della Corte di Cassazione, il lavoratore ha un’arma in più contro il licenziamento ritorsivo.
Licenziamento ritorsivo
Il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta, può essere definito come quel provvedimento espulsivo motivato da una ingiusta e arbitraria reazione a un comportamento adottato dal lavoratore.
Il comportamento improprio
Purtroppo, in ambito lavorativo, qualsiasi comportamento potrebbe risultare inviso ai nostri superiori. La nostra individualità ci porta necessariamente ad esternare opinioni, azioni e orientamenti tali da far storcere il naso al capo.
Ripensiamo ironicamente alla famosa scena del film Il tifoso, l’arbitro e il calciatore (film del 1983 diretto da Pier Francesco Pingitore), dove il commendator Pecorazzi (Gigi Reder) dice al capo del personale che tutti i dipendenti devono andare allo stadio a gridare Forza Lazio e “chi non viene vuol dire che è romanista e lo caccio via”.
L’antipatia, dunque, ha consistenza soggettiva e personale ed il licenziamento è il risultato determinato da ragioni vendicative. La condotta illecita del datore è mascherata con la forma giuridica di una giusta causa o di un giustificato motivo.
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La probatio diabolica
Quando dunque la rappresaglia è stato l’unico motivo determinante il recesso, il licenziamento deve considerarsi nullo. Molto spesso però pur essendoci tale deterrente, il lavoratore ha paura di non riuscire a far emergere le circostanze rilevanti ai fini della prova della ritorsione.
Il lavoratore, processualmente, dovrà indicare gli elementi idonei a individuare la sussistenza di un rapporto di causalità tra il comportamento adottato e l’ostilità che ha portato ad un licenziamento ingiusto.
Questa circostanza scoraggia un’azione legale a propria tutela vista la difficoltà dell’impresa.
Sulla questione è intervenuta la Corte di Cassazione, sez. Lavoro, che con la sentenza numero 11705/20 depositata il 17/06/2020, “ammorbidisce” l’onere del lavoratore statuendo che il licenziamento ritorsivo può essere dimostrato anche con presunzioni.
Pertanto, per la casistica suindicata, il giudice di merito dovrà valorizzare una serie di elementi ad ampio spettro anche solo indicativi.
Conclusioni
L’intervento dei giudici di Piazza Cavour ha di certo rafforzato la posizione del dipendente ma rimane sempre il timore di compromettere la carriera per aver palesato il proprio “io”.
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