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Kashmir in fiamme: India e Pakistan sull’orlo di una guerra

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Torna alta la tensione tra India e Pakistan dopo un attentato mortale nel Kashmir. Scambi di colpi alla Linea di Controllo, espulsioni diplomatiche, sospensione del trattato sulle acque e timori di escalation militare tra due potenze nucleari tengono il mondo col fiato sospeso.

Crisi di confine: nuove tensioni tra India e Pakistan (due potenze nucleari)

Poche notti fa forze militari dei due Paesi confinanti son tornate a scambiarsi numerosi colpi di arma da fuoco lungo la cosiddetta Linea di Controllo, il confine di fatto tra i due Paesi nel Kashmir, regione rivendicata da entrambe le potenze nucleari asiatiche. Lo scontro è avvenuto poche ore dopo che il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, aveva esortato entrambe le nazioni a esercitare “la massima moderazione” per evitare un ulteriore deterioramento della situazione già precaria e pericolosa.

L’ultima ondata di tensioni è esplosa in seguito al mortale assalto di martedì a Pahalgam (denominata anche “Mini Svizzera”, apprezzata per i suoi prati e le foreste di pini, meta di numerosi pellegrinaggi), sita a circa 90 chilometri a est di Srinagar, attentato che ha causato 26 vittime e 17 feriti.

La maggior parte delle vittime erano viaggiatori nazionali, perlopiù turisti di cittadinanza indiana, con un cittadino nepalese tra le vittime. Il governo indiano ha rapidamente attribuito la responsabilità al suo vicino occidentale, riaccendendo la disputa territoriale decennale sulla regione.

Un conflitto regionale di lunga data

Il Kashmir, regione nordoccidentale del subcontinente indiano, sita tra il Karakorum e i rilievi prehimalaiani, è sostanzialmente rimasto diviso in due fin dalla conquistata indipendenza nel 1947 (quando furono creati i due Stati dell’India e del Pakistan): una parte è completamente incorporata nella struttura federale dell’India (sebbene recentemente riorganizzata in due unità amministrative separate, una delle quali affronta rivendicazioni territoriali dalla Cina), mentre l’altra sezione, autodichiaratasi autonoma, resta sotto l’influenza pakistana.

Islamabad ha storicamente fornito rifugio e sostegno a organizzazioni separatiste, militanti religiosi e gruppi armati che hanno condotto operazioni transfrontaliere. L’attacco più devastante è avvenuto nel novembre 2008 quando membri di una importante fazione militante hanno preso di mira Mumbai.

Nel frattempo, Nuova Delhi ha frequentemente imposto la legge marziale e implementato severe misure di sicurezza per reprimere i movimenti di autonomia, alimentando risentimento e tensioni tra la popolazione musulmana e quella indù.

Gravi conseguenze diplomatiche

Le autorità di polizia nel territorio amministrato dall’India accusano il Pakistan di aver provocato l’attacco attraverso gruppi di ribelli armati, attacco descritto come il più devastante nella regione dal 2000. Tuttavia, la risposta dell’India va ben oltre le procedure investigative standard, potenzialmente innescando un ciclo imprevedibile di escalation.

Il governo indiano ha implementato due significative misure di ritorsione:

1. L’immediata chiusura dell’unico valico terrestre funzionante tra i due Paesi ad Attari-Wagah nel Punjab, insieme a un ordine di espulsione che richiede a tutti i cittadini pakistani non residenti—incluso il personale di sicurezza diplomatico e il personale civile—di lasciare l’India entro il 1° maggio.

2. La sospensione senza precedenti del trattato di condivisione delle acque del 1960 che regola la distribuzione delle risorse dal principale sistema fluviale che ha origine in territorio indiano prima di fluire attraverso il Pakistan con i suoi cinque affluenti principali (Satlej, Beas, Ravi, Chenab e Jhelum). Questa azione conferisce a Nuova Delhi il controllo effettivo sulle risorse idriche vitali per circa 240 milioni di cittadini pakistani.

Risposte asimmetriche e preoccupazioni militari

In seguito a una riunione d’emergenza del Comitato per la Sicurezza Nazionale presieduta dal Primo Ministro Shehbaz Sharif a Islamabad, il Pakistan ha annunciato contromisure più limitate, tra cui la cessazione degli accordi commerciali bilaterali e la chiusura dello spazio aereo pakistano ai vettori indiani. Sebbene alcune voci sostengano un’azione militare, tali richieste rimangono per ora contenute.

La crisi diplomatica si aggrava

Il Ministero degli Esteri indiano ha ordinato a tutti i cittadini pakistani di lasciare il Paese entro il 29 aprile. Inoltre, ai cittadini indiani è stato consigliato di evitare viaggi in Pakistan. Il Ministro degli Esteri Vikram Misri ha annunciato che alcuni diplomatici pakistani sono stati invitati a lasciare Nuova Delhi, mentre alcuni diplomatici indiani sono stati richiamati dal Pakistan. Le missioni diplomatiche in entrambi i Paesi ridurranno il livello del personale da 55 a 30 persone a partire dal 1° maggio.

La risposta di Islamabad è stata rapida e corposa. Durante una riunione del Comitato per la Sicurezza Nazionale guidata dal Primo Ministro Shehbaz Sharif, il Pakistan ha deciso di “sospendere tutti gli accordi bilaterali con l’India, compresi, ma non limitati, agli Accordi di Simla”, accordi stabiliti nel 1972 che avevano posto fine alle precedenti ostilità. Il Pakistan ha anche dichiarato quali “persone non gradite” gli addetti alla Difesa, Marina e Aeronautica di cittadinanza indiana presenti a Islamabad, ordinando la loro partenza immediata e comunque non oltre il 30 aprile. Il governo pakistano ha inoltre invalidato tutti i visti precedentemente rilasciati ai cittadini indiani, esentando solo i pellegrini religiosi sikh.

Preoccupazioni nucleari e stabilità regionale

Gli analisti temono ora che un potenziale confronto militare tra questi avversari dotati di armi nucleari possa destabilizzare l’intera regione. Gli esperti di sicurezza ritengono che l’India lancerà con assoluta certezza una risposta militare; di incerto vi è solo la data.

In seguito all’attacco, l’India ha accusato il Pakistan di sostenere gruppi terroristici operanti nella regione di frontiera tra i due Paesi dopo che un gruppo – che si fa chiamare Fronte della Resistenza – ne ha rivendicato la responsabilità. Durante un discorso nello stato nord-orientale del Bihar, il Primo Ministro indiano, Narendra Modi, si è impegnato a perseguire i responsabili “fino ai confini della terra”. Parlando in inglese anziché in hindi, ha dichiarato: “L’India identificherà, localizzerà e punirà ogni terrorista e i loro sostenitori”, aggiungendo che “il terrorismo non resterà impunito” e che “l’intera nazione è determinata”.

Prima di annunciare la cancellazione dei visti, Nuova Delhi aveva già sospeso l’accordo del 1960 che regola l’utilizzo delle acque dal fiume principale e dai suoi affluenti che scorrono attraverso entrambi i Paesi e il territorio conteso.

“Il declassamento delle relazioni diplomatiche e la sospensione del trattato sulle acque non fanno ben sperare per la stabilità regionale”, ha osservato Fahd Humayun, Professore Associato di Scienze Politiche presso la Tufts University. “Oltre a violare gli obblighi derivanti dai trattati internazionali, i diritti sull’acqua come stato rivierasco sono considerati dal Pakistan una questione di sicurezza nazionale, e la sospensione sarà interpretata come un atto di aggressione”.

Il Ministro dell’Energia pakistano Awais Leghari ha caratterizzato la sospensione del trattato sulle acque da parte dell’India come un “atto di guerra”, sottolineando che “ogni goccia ci appartiene di diritto, e la difenderemo con tutte le nostre capacità: legalmente, politicamente e globalmente”.

Per evitare conseguenze pericolosissime e destabilizzanti, non solo dell’intera area ma del mondo intero, l’Iran si è offerto di fare da mediatore e da paciere tra i due Paesi da sempre belligeranti. Tutto il mondo è con il fiato sospeso, sperando che anche questo ennesimo confronto tra i due Paesi confinanti termini nella solita tregua armata che va avanti così da ben 78 anni.

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Eugenio Cardi
Eugenio Cardi
Scrittore, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato ad oggi dodici romanzi, pubblicati in Italia e all’estero

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