La Procura di Milano è al lavoro per ricostruire la provenienza dei 5 milioni e 300 mila euro depositati su un conto di Ubs a Lugano intestato al presidente della Lombardia: Attilio Fontana indagato anche per autoriciclaggio e false dichiarazioni nell’ambito dell’inchiesta sul caso camici.
Fontana indagato anche per autoriciclaggio
Siamo garantisti fino in fondo quindi, fino a prova contraria, vale la presunzione d’innocenza per tutti, ma le nubi che si addensano su Attilio Fontana sono sempre più nere.
Non bastasse la gestione tragica dell’emergenza sanitaria in Lombardia, continuano a fioccare le inchieste sul governatore: già indagato la scorsa estate per frode in pubbliche forniture in relazione al caso della fornitura di camici dall’azienda di suo cognato (poi trasformata in donazione con modalità e tempi ritenuti pochi chiari dagli inquirenti) ora il governatore leghista risulta iscritto anche per autoriciclaggio e false dichiarazioni nella voluntary disclosure.
La storia è sempre quella, i 75mila camici e dispositivi di protezione del valore di mezzo milione di euro della Dama spa, azienda del cognato di Fontana, Andrea Dini, e con quote in mano anche a sua moglie, oggetto di affidamento senza gara da parte della centrale acquisti regionale Aria spa nei mesi della prima ondata Covid.
La vicenda diviene pubblica in seguito a un’inchiesta di Report e Fontana dichiara di non esserne al corrente. Ma intanto il contratto è stato già trasformato in donazione nella speranza di evitare ulteriori problemi. Per rimborsare il parente del denaro perso, il governatore fa un bonifico da 250mila euro di tasca sua da un conto svizzero. Operazione che finisce nel mirino dell’antiriciclaggio della Banca d’Italia e viene segnalata alla guardia di finanza e alla Procura di Milano.
Da quel bonifico nasce uno dei filoni dell’inchiesta. Su quel conto ci sono 5 milioni e 300 mila euro, passati in precedenza attraverso due trust alle Bahamas. Il governatore sostiene che si tratti dell’eredità della madre, ma i pubblici ministeri milanesi hanno altri sospetti, ovvero che la somma, scudata del 2015 con la voluntary disclosure, non sia solo il lascito del genitore, ma nasconda un’evasione fiscale, che oggi risulterebbe comunque prescritta.
Il procuratore di Milano Francesco Greco in una nota ha annunciato che trasmetterà una rogatoria in Svizzera. Che apre un nuovo capito delle indagini coordinate dai pm Luigi Furno, Carlo Scalas e Paolo Filippini e dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli.
Affari di famiglia: di cosa è accusato Fontana?
Il presidente della Regione è accusato di frode in pubbliche forniture per la storia dei camici forniti alla Lombardia dall’azienda di suo cognato Andrea Dini, durante la fase acuta dell’epidemia da coronavirus.
A differenza di quanto ha sempre sostenuto, sembra sapesse degli affari in corso tra la Regione e l’azienda di suo cognato.
Insieme a lui sono indagati anche Andrea Dini, e il direttore generale di Aria, la centrale acquisti della Lombardia, Filippo Bongiovanni.
Il 16 aprile Aria assegnò una fornitura per camici e altri dispositivi di protezione a Dama S.p.A., società di proprietà di Andrea Dini e, per il 10 per cento, di Roberta Dini, moglie di Fontana. La fornitura era stimata per un valore di 513mila euro.
A mettere in luce tutte le anomalie di questa storia ci hanno pensato le inchieste del quotidiano Il Fatto Quotidiano e quella di Report.
L’indagine dei media su Attilio Fontana
In particolare il programma di Rai Tre aveva scoperto che Il 20 maggio, più di un mese dopo l’assegnazione della fornitura, Dini aveva scritto una mail al direttore di Aria, Bongiovanni, spiegandogli di aver deciso di trasformare la vendita in una donazione.
Report aveva trovato le note di credito sull’annullamento delle fatture per i camici, emesse tra il 22 e il 28 maggio, ma che riguardavano un valore complessivo di 359mila euro sui 513mila della fornitura. E gli altri?
Dini in un intervista aveva spiegato che la vendita dei camici alla Regione era stata decisa in un periodo in cui lui non si trovava in azienda. Al suo ritorno aveva subito deciso di annullare tutto perché era sua intenzione donare quei camici.
Fontana, il 7 giugno, aveva invece dichiarato che la fattura di 513mila euro era stata un errore dovuto a un «automatismo burocratico» e di aver saputo della fornitura molto dopo, senza essere mai intervenuto nella faccenda.
L’inchiesta del Corsera smentisce questa versione. Fontana era stato informato da un suo collaboratore della fornitura e prima che Dini scrivesse ad Aria dicendo di voler trasformare la vendita in donazione, cercò di fare un bonifico di 250.000 euro da un suo conto personale a Dama S.p.A.
Secondo il giornale, fu un tentativo di risarcire Dini per i mancati guadagni dei camici.
Il bonifico sarebbe arrivato da un conto in Svizzera in cui erano stati confluiti con lo “scudo fiscale” 5 milioni e 300 mila euro che fino al 2015 erano conservati alle Bahamas con due trust intestati alla madre di Fontana.
L’operazione fu sospesa per sospetta violazione della normativa antiriciclaggio e segnalato alla Banca d’Italia.
Ultima anomalia: Dini provò a rivendere una parte dei camici mai consegnati alla regione, circa 30mila sugli oltre 80mila previsti. Si mise in contatto tramite un intermediario con una Rsa di Varese proponendo un prezzo più alto di quello concordato con la Regione, ovvero 9 euro a pezzo invece di 6.
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