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Ucraina, oltre il riflesso condizionato: il pensiero unico uccide la pace

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Liquidare ogni dubbio sulla guerra in Ucraina come “putinismo” , come accade da 3 anni a questa parte, è sintomo di chiusura ideologica. Serve un confronto serio: cercare la pace non può prescindere da obiettivi chiari. Senza dibattito, si alimentano sfiducia, disillusione e il logoramento del sostegno popolare.

Ucraina, oltre il riflesso condizionato: perché il confronto è necessario

Che piaccia o no, le riflessioni sulla guerra in Ucraina di tutta quella galassia che politica e media mainstream chiamano “putiniana”,  meritano un’analisi seria e approfondita. Questo è un dovere che ricade soprattutto su chi tiene davvero al destino del popolo ucraino e non solo farne un pretesto per propri tornaconti.

Non si può liquidare la questione con un’alzata di spalle, un’accusa di essere filorussi o una battuta caustica. Il tentativo di chiudere il dibattito in nome di una presunta verità assoluta — una sorta di “moralismo” geopolitico, che rifiuta il confronto credendo di avere la ragione dalla propria parte — sta alimentando un divario sempre più netto tra la linea ufficiale e il sentire comune. Non sorprende, quindi, che molti cittadini siano sempre più stufi del conflitto e meno propensi a sostenerlo.

Una parte rilevante del mondo politico e intellettuale sembra aver sviluppato un’avversione al dissenso, arroccandosi nella convinzione di detenere un’unica verità. Chi osa pensarla diversamente viene etichettato, a seconda dei casi, come ignorante o come agente di Putin.
Nel contesto ucraino, questa chiusura mentale contribuisce più di quanto si ammetta a generare sfiducia.

E quella sfiducia si riflette in un calo del supporto per gli aiuti, sia militari che umanitari, con effetti tangibili: meno risorse disponibili, più vittime, più devastazione.
Proprio per questo è essenziale tornare a ragionare sui fatti.

Il primo punto, spesso trascurato, è che gli sforzi per evitare un’escalation hanno dato risultati. Mosca, ad esempio, non ha formalmente dichiarato guerra, non ha mobilitato in massa i suoi giovani né ha scatenato una guerra ibrida reale, mantenendo canali di comunicazione, nonostante i proclami da ambo i fronti.

È difficile essere soddisfatti per ciò che non è successo, ma ogni tanto bisognerebbe riconoscerlo. Altrimenti si finirebbe dietro le sparate dei vari esperti in tv che in questi tre anni non ne hanno azzeccata una…

Il secondo punto, sottolineato da chi conosce davvero la Russia — spesso accusato ingiustamente di simpatie filorusse solo per aver studiato il Paese — è che Putin agisce secondo linee politiche e geopolitiche chiare, annunciate e, nel contesto russo, storicizzate, seppur discutibili o meno. Non è un villain da romanzo fantasy, né la Russia è un regno del male votato alla distruzione globale.

Le immagini stereotipate che dipingono i russi come un popolo “naturalmente” espansionista, destinato a marciare fino a Lisbona, sono caricature semplicistiche, offensive e controproducenti.

In breve: aiutare l’Ucraina non significa credere che Putin sia pronto a scatenare l’apocalisse se non conquista Kyiv.

Il terzo tema, più delicato, riguarda il futuro. Serve uno slancio creativo per offrire al pubblico — che ha ogni ragione di essere preoccupato — una prospettiva chiara sugli obiettivi. Continuare a sostenere un popolo in guerra è giusto, ma bisogna chiarire con onestà a cosa mirano oggi questi aiuti.

Non si può ignorare chi si chiede se “stiamo solo prolungando una sconfitta inevitabile, aumentando lutti e rovine”. Rispondere con accuse di negazionismo o con sospetti di intenzioni malevole non basta, soprattutto quando queste imputazioni sono difficili da provare.

Se fino a poco fa lo scopo era riconquistare i territori occupati, ora che quell’obiettivo, com’era lampante fin dal principio, nonostante il tam tam propagandistico, è legittimo chiedersi quale sia il fine concreto del sostegno militare e politico dell’Occidente.

Non c’è una risposta pronta, forse nemmeno giusta, e dal dibattito pubblico sembra che nessuno ce l’abbia. Eppure è su questo punto che governi, diplomatici e chi davvero supporta l’Ucraina dovrebbero concentrarsi, lasciando da parte le polemiche da salotto televisivo e le dispute sterili.

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Marquez
Marquez
Corsivista, umorista instabile.

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