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A due anni dallo scoppio del conflitto civile, il Sudan appare come un Paese sull’orlo della spartizione, dilaniato da interessi geopolitici, lotte per il controllo delle risorse e una delle più gravi crisi umanitarie al mondo, quasi completamente ignorata dai media e dalle cancellerie internazionali.
Sudan, verso la spartizione. Origini del conflitto
Il 15 aprile 2023 è esplosa una violenta guerra tra le Forze Armate del Sudan (SAF), guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan, e le Rapid Support Forces (RSF), una potente milizia paramilitare comandata da Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti. Il casus belli è stato il rifiuto da parte delle RSF di integrarsi nelle forze armate regolari, come previsto dagli accordi di transizione post-golpe del 2019. Ma le radici del conflitto affondano nelle tensioni etniche, nell’eredità della guerra del Darfur e negli scontri per il controllo delle ricchissime risorse del Paese.
Il collasso di Khartum
La capitale sudanese, Khartum, ha vissuto due anni di occupazione da parte delle RSF, culminata in una riconquista da parte dell’esercito il 27 marzo 2025. Ma la città, così come le sue gemelle Beri e Omdurman, è ormai un cumulo di macerie: devastata da saccheggi, privata dei servizi essenziali, senza elettricità e acqua potabile. L’immagine che ne emerge è quella di un ritorno a un tempo arcaico, evocativo della rivolta mahdista di fine Ottocento.
Una crisi umanitaria senza precedenti
Secondo le Nazioni Unite, quella in Sudan è oggi la più grave emergenza umanitaria al mondo. Circa 13 milioni di persone hanno abbandonato le proprie case, e quasi 4 milioni sono fuggite all’estero, verso Egitto, Sud Sudan, Ciad, Libia, Etiopia, Repubblica Centrafricana e Uganda. Una persona su sei tra gli sfollati nel mondo è sudanese.
Le denunce di stupri sistematici, uccisioni di massa e abusi sono innumerevoli. La metà delle vittime sono bambini, molti dei quali malnutriti e privi di genitori.
A peggiorare la situazione è la drastica riduzione degli aiuti internazionali: il piano regionale di risposta ha ricevuto solo il 9% dei fondi necessari. Nei campi profughi mancano cibo, cure mediche e istruzione. Le ragazze rischiano matrimoni forzati, i ragazzi finiscono nelle miniere d’oro illegali o intraprendono rotte migratorie pericolose.
Influenze straniere e spartizione del Paese
Il conflitto sudanese è diventato un teatro della geopolitica internazionale. Le RSF, legate storicamente ai miliziani janjawid responsabili del genocidio del 2003 in Darfur, ricevono il sostegno degli Emirati Arabi Uniti, che in cambio ottengono oro, uranio e carne dalle regioni sotto il controllo dei paramilitari.
L’oro, raffinato ad Abu Dhabi, finisce poi nei mercati occidentali. Le RSF hanno legami anche con la Libia orientale di Haftar, il Ciad e la Repubblica Centrafricana, tutti territori nella crescente sfera di influenza russa, secondo le accuse delle potenze occidentali.
Dall’altra parte, l’esercito di al-Burhan riceve il sostegno di Arabia Saudita, Egitto e Iran. Questa divisione di alleanze rende concreta la prospettiva di una spartizione del Sudan: l’ovest al controllo RSF, l’est e il nord sotto l’esercito regolare. Intanto, la capitale amministrativa è stata trasferita a Port Sudan, sul Mar Rosso, al riparo dagli attacchi dei droni delle RSF, che colpiscono le infrastrutture energetiche come la diga di Merowe.
La guerra ignorata
L’Unhcr e Medici senza Frontiere segnalano una situazione drammatica: ospedali distrutti o inagibili, mancanza di farmaci, personale sanitario senza stipendio, epidemie di colera dovute all’acqua contaminata. Dopo due anni senza campagne vaccinali, sono tornate malattie come il morbillo. Eppure, alcuni sfollati provano a rientrare a Khartum, spinti dalle condizioni invivibili nei campi.
Non si tratta solo di una guerra “dimenticata”, ma deliberatamente ignorata. Il silenzio mediatico e diplomatico nasconde un quadro tragico: una crisi umanitaria devastante, un conflitto geopolitico con attori regionali e globali, un popolo allo stremo. Una tragedia che rivela, ancora una volta, l’indifferenza selettiva della comunità internazionale di fronte ai drammi africani.
La guerra in Sudan non si combatte solo con le armi: è anche una guerra contro l’oblio, e la posta in gioco è la sopravvivenza stessa di un’intera generazione sudanese.
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