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Netanyahu contro i Servizi Segreti: il disastro politico che l’Occidente ignora

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Netanyahu tenta di piegare lo Shin Bet ai suoi interessi personali. Il capo dei servizi, Ronen Bar, si rifiuta, viene emarginato e poi licenziato. Ma reagisce: lo porta in tribunale con accuse esplosive. L’Occidente tace, Israele è nel caos istituzionale.

Netanyahu contro i Servizi Segreti

Nel cuore di una delle aree più instabili del pianeta, tra le macerie morali e istituzionali lasciate dal massacro in corso a Gaza, si sta consumando in Israele un conflitto silenzioso, ma devastante. È una guerra intestina tra Benjamin Netanyahu e i suoi stessi servizi segreti.

Più precisamente, tra il primo ministro e Ronen Bar, direttore dello Shin Bet – l’agenzia di sicurezza interna dello Stato ebraico – che lo ha ora trascinato in tribunale. Uno scontro che meriterebbe prime pagine e analisi approfondite, ma che l’Occidente — complicemente — sta ignorando, preferendo voltarsi dall’altra parte.

Il premier che voleva piegare la sicurezza ai suoi comandi

Il nocciolo della vicenda è tanto semplice quanto allarmante. Netanyahu avrebbe tentato di politicizzare le attività dello Shin Bet, cercando di orientarne le indagini e le operazioni contro i cittadini israeliani coinvolti in manifestazioni e proteste.

Una richiesta gravissima in qualsiasi democrazia; un vero colpo di stato silenzioso, se si pensa che lo Shin Bet, per sua natura, è un organo tecnico che risponde allo Stato, non a un singolo leader.

Secondo quanto rivelato da Haaretz, Ronen Bar si è rifiutato di eseguire ordini contrari allo Stato di diritto. E qui è iniziato il caos. Netanyahu lo ha progressivamente emarginato, tentando di attribuirgli la responsabilità dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, quasi volesse trovare un comodo capro espiatorio per una delle peggiori disfatte della sicurezza israeliana. Un’operazione di scaricabarile brutale, che però questa volta si è ritorta contro il premier.

Il contrattacco: Bar porta Netanyahu in tribunale

A differenza di altre epurazioni avvenute in silenzio, Ronen Bar ha deciso di reagire. Ha portato il caso davanti alla Corte Suprema israeliana, denunciando per iscritto – in una dichiarazione giurata – una serie di pressioni, abusi e forzature istituzionali da parte del premier. Le accuse contenute nel documento sono micidiali: Netanyahu avrebbe chiesto al capo dello Shin Bet non solo di indagare sui manifestanti, ma anche di “dimostrare lealtà personale” al premier, sopra la fedeltà allo Stato e alla Corte Suprema.

Un passaggio, questo, che travalica ogni limite accettabile in uno Stato democratico. Il messaggio è chiaro: in caso di crisi costituzionale, Bar avrebbe dovuto obbedire a Netanyahu, non alla legge. È il sogno bagnato di ogni autocrate: un apparato di sicurezza privatizzato, trasformato in polizia politica.

Il vaso di Pandora è ormai aperto

E Ronen Bar ha fatto di più. Ha denunciato anche tentativi di manipolazione giudiziaria: secondo Haaretz, Netanyahu avrebbe chiesto al capo dello Shin Bet un falso alibi per evitare di testimoniare in un procedimento penale a suo carico. Come se non bastasse, Bar ha collegato le sue indagini a un nuovo filone esplosivo: il Quatargate, un’inchiesta che coinvolgerebbe collaboratori di Netanyahu e sospetti legami con il Qatar. Il tutto mentre ne chiedeva la rimozione.

A questo punto, la figura del premier appare più quella di un leader sotto assedio, disposto a tutto per restare a galla, che quella di uno statista. Il tentativo di silenziare Bar mentre quest’ultimo indagava su elementi centrali dell’entourage governativo è una mostruosa violazione del principio di separazione dei poteri.

È un conflitto di interessi che in qualsiasi altro paese, anche minimamente democratico, avrebbe portato a immediate dimissioni. Ma non in Israele, dove l’equilibrio istituzionale è sospeso su una riforma costituzionale minacciosa, e dove la stessa Corte Suprema è da tempo nel mirino del governo.

L’imbarazzante silenzio dell’Occidente

In un mondo in cui ogni passo compiuto da Mosca, Pechino o Teheran viene passato al setaccio, l’Occidente sceglie di tacere. Silenzio assoluto sulle pressioni indebite di Netanyahu, sulla sua tentata manipolazione dei servizi segreti, sulle accuse documentate di abuso di potere e conflitto di interessi. L’ultima frontiera dell’ipocrisia geopolitica è qui, tra Tel Aviv e Gerusalemme, dove il mito dell’unica democrazia del Medio Oriente rischia di trasformarsi in farsa autoritaria.

Perché non se ne parla? Perché questo scandalo non è sulle prime pagine dei giornali europei e americani? Forse perché mettere in discussione Netanyahu significherebbe dover fare i conti con l’alleato scomodo per eccellenza: uno stratega del caos che, mentre devasta Gaza, implode dall’interno. La stampa “amica” preferisce l’omertà alla responsabilità. Ma ogni silenzio complice è un colpo inferto alla verità.

 

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Marquez
Marquez
Corsivista, umorista instabile.

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