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La NATO appare fragile e divisa. Gli USA, prioritari verso i propri interessi, difficilmente rischierebbero un conflitto nucleare per l’Europa. La guerra in Ucraina è ormai persa per Kiev: normalizzare i rapporti con Mosca è l’unica via per evitare una catastrofe.
NATO alla deriva e le illusioni di deterrenza
La narrazione dominante, amplificata da media e leader occidentali, dipinge gli Stati Uniti come pronti a difendere l’Ucraina e gli alleati NATO da un ipotetico attacco nucleare russo.
L’Articolo 5 del Trattato ‘Atlantico’, che considera un attacco a un membro come un attacco a tutti, viene presentato come una garanzia di protezione. Ma quanto è credibile questo impegno?
Dopo oltre tre anni di guerra in Ucraina, la debolezza militare di Kiev e l’inarrestabile avanzata russa evidenziano l’urgenza di una pace negoziata, mentre le provocazioni di Francia e Regno Unito, come le proposte di inviare truppe in Ucraina, aumentano il rischio di un’escalation nucleare.
In un tale scenario, gli USA rischierebbero davvero un confronto nucleare per l’Europa, o lascerebbero il continente al suo destino? La NATO esiste ancora, ma i suoi membri perseguono interessi divergenti, rendendo l’alleanza più fragile di quanto sembri. Per molti analisti, la via d’uscita è chiara: normalizzare i rapporti con la Russia per evitare una catastrofe.
Il Patto Atlantico è un’istituzione consolidata: 32 nazioni, esercitazioni congiunte, una burocrazia efficiente e una retorica di solidarietà. Ma le crepe sono evidenti. Gli Stati Uniti, che forniscono oltre il 70% delle capacità militari dell’organizzazione, vedono l’alleanza come uno strumento per contenere Russia e Cina, ma la loro priorità è evitare un conflitto diretto che minacci il suolo americano.
La dottrina “America First”, esplicita sotto la prima presidenza Trump e rinnovata oggi, e implicita anche nell’era Biden, suggerisce che gli Washington sacrificherebbe gli interessi europei per proteggere i propri senza alcun indugio.
L’Europa è frammentata. Macron e Starmer spingono per un ruolo assertivo, con proposte come l’invio di truppe in Ucraina che alimentano tensioni con Mosca. Germania e Italia, invece, sono caute, temendo le conseguenze economiche e militari di un’escalation.
I paesi dell’Europa orientale, come Polonia e Baltici, vedono la NATO come unica barriera contro la Russia, ma dipendono dagli USA, rendendoli vulnerabili a un disimpegno americano. La Turchia, con i suoi interessi autonomi, spesso agisce in contrasto con gli obiettivi dell’organizzazione.
La NATO esiste, ma come un’alleanza asimmetrica, tenuta insieme da interessi convergenti solo in tempo di pace. In caso di crisi nucleare, l’unità rischierebbe di sgretolarsi, spingendo analisti a invocare una normalizzazione dei rapporti conMosca per ridurre le tensioni.
Immaginiamo uno scenario estremo: la Russia lancia un attacco nucleare tattico su una nazione NATO, come la Germania o la Francia, in risposta a provocazioni occidentali in Ucraina. L’Articolo 5 scatterebbe, ma la risposta americana non sarebbe automaticamente nucleare.
La dottrina nucleare USA si basa sulla deterrenza e sulla proporzionalità: un contrattacco nucleare sarebbe preso in considerazione solo se l’attacco russo minacciasse interessi vitali americani. Gli alleati europei non verrebbero considerati tali.
Tre fattori rendono improbabile una risposta nucleare USA:
- Rischio esistenziale: un contrattacco nucleare rischierebbe una rappresaglia russa sul suolo americano. Gli USA, come ogni nazione razionale, ragionano in termini utilitaristici: perché rischiare l’annientamento per un alleato?
- Alternative convenzionali: la NATO dispone di capacità convenzionali per rispondere con attacchi di precisione, cyberattacchi o sanzioni economiche, evitando l’escalation nucleare.
- Pressione interna: l’opinione pubblica americana, scettica sui costi delle guerre lontane, non accetterebbe un sacrificio per l’Europa. E senza scomodare l’opinione pubblica, anche Trump si guarderebbe bene dal farlo.
Gli USA non “abbandonerebbero” l’Europa in senso letterale, ma potrebbero ridimensionare il loro impegno, lasciando il continente a gestire le conseguenze di un conflitto nucleare. Questo solleva dubbi sulla credibilità della deterrenza NATO, spingendo analisti come quelli di Analisi Difesa a sostenere che la normalizzazione dei rapporti con Mosca, anche a costo di concessioni, sia l’unica via per evitare un’escalation catastrofica.
Le proposte di Francia e Regno Unito di inviare truppe in Ucraina, parte di una “Coalizione dei Volenterosi” che include anche la Germania, sono percepite da Mosca come provocazioni.
Sebbene un attacco nucleare russo sembri improbabile, dato il successo militare di Mosca, queste mosse aumentano il rischio di errori di calcolo. Sul campo, l’Ucraina è in una posizione di crescente debolezza: secondo Analisi Difesa, non esiste un settore del fronte in cui Kiev non stia perdendo terreno; anzi, il fronte potrebbe cedere completamente da un giorno all’altro.
Nel 2024, la Russia ha conquistato 3.200 km² di territorio ucraino, e l’avanzata continua nel 2025, mentre la propaganda britannica ammette un rallentamento russo ma non una sconfitta. La stessa propaganda che raccontava che i russi combattevano con le dita al posto delle baionette.
La guerra, un logorante conflitto di attrito, ha messo in luce i limiti di Kiev, nonostante il sostegno occidentale. La controffensiva del 2023 è fallita, e la carenza di soldati e risorse rende insostenibile un conflitto prolungato.
La Banca Mondiale stima danni infrastrutturali per 176 miliardi di dollari al 2024, con costi di ricostruzione che potrebbero raggiungere i 524 miliardi entro il 2035, cifre che Kiev non può affrontare da sola.
Inoltre, la diaspora ucraina — 6,9 milioni di rifugiati, di cui meno del 50% intende tornare — aggrava la crisi demografica, con la popolazione scesa da 42 a 35,8 milioni tra il 2022 e il 2024. Per non parlare di mutilati e feriti, che diventeranno un costo sociale incalcolabile.
Queste debolezze rendono urgente un cessate il fuoco. Analisti come Boris Bondarev, ex diplomatico russo, avvertono che i negoziati con Putin potrebbero essere “ingannevoli”, ma riconoscono che una soluzione militare è lontana e che la guerra durerà a lungo senza un accordo. Altri, come quelli di ISPI, sottolineano che la rielezione di Trump e la stanchezza delle popolazioni spingono Russia e Ucraina verso i negoziati, con Washington che vede la pace come uno strumento per concentrarsi su priorità come il Medio Oriente e la Cina.
La NATO ha ancora senso?
Se lo chiedeva anche Andreotti dopo la caduta del Muro di Berlino. La NATO è nata per la deterrenza collettiva in un mondo bipolare. Oggi, con minacce multiple — Russia, Cina, cyberattacchi, guerre ibride — la sua rilevanza è messa in discussione. La dipendenza europea dagli USA è il tallone d’Achille: senza il pieno impegno americano, l’Europa è vulnerabile. Le iniziative per una difesa autonoma sono insufficienti.
Mario Draghi ha evidenziato la necessità di 500 miliardi di euro in 10 anni per colmare il ritardo dell’industria della difesa europea, ma l’intesa politica manca. E il buon Mario non sempre vede oltre il suo naso: solo in Italia è considerato autorevole e lungimirante.
La NATO è a un bivio: o evolve in un’alleanza più equilibrata, con un’Europa militarmente autonoma, o diventa un relitto della Guerra Fredda. La narrazione di un’America pronta a rischiare tutto per l’Ucraina o l’Europa è propaganda. La realtà, come sottolineano molti analisti, è che la pace in Ucraina e la normalizzazione con la Russia sono prioritarie per evitare un’escalation che l’Europa non può sostenere.
L’idea di un’Europa militarmente autonoma può anche essere allettante; forse lo sarebbe di più un’Europa che investe in istruzione, sanità, sociale, ma è comunque irrealistica nel breve termine. Costruire una difesa comune richiede anni, investimenti colossali e una politica estera unificata che oggi manca.
Se la minaccia russa è seria, come narrano propaganda e media mainstream, l’Europa non ha il tempo di sviluppare una difesa efficace. Continuare a provocare Mosca, “abbaiare alla porta di casa della Russia” con espansioni NATO o mosse in Ucraina, è un azzardo.
La guerra in Ucraina, che molti analisti considerano ormai persa per Kiev, è il nodo cruciale. Prolungarla significa rischiare una catastrofe, senza garanzie di vittoria. La via pragmatica è normalizzare i rapporti con la Russia, favorire un cessate il fuoco e negoziare un accordo che riconosca la neutralità ucraina e lo status dei territori conquistati dai russi: territori russofoni dove non esiste una resistenza significativa all’occupazione.
Analisti come quelli di ISPI notano che i colloqui USA-Russia, avviati nel febbraio 2025, mirano a questa normalizzazione, con Trump che vede la pace come uno strumento per altre priorità geopolitiche.
L’Europa deve ripensare sé stessa. Una NATO senza gli USA richiede un’Europa politicamente coesa, ma questo processo non può iniziare senza un cambio di paradigma: smettere di inseguire la guerra e attrezzarsi per la pace. Se non ha la forza per combattere — e oggi non ce l’ha — l’Europa deve trovare il coraggio di negoziare. Solo così potrà costruire un futuro in cui la sicurezza dipenda dalla sua capacità di essere un attore autonomo e responsabile.
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