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Meloni vola da Trump a Mar-a-Lago, offre gas, investimenti e fedeltà atlantica in cambio di una foto. Nessuna contropartita, solo propaganda. L’Italia diventa comparsa nella scampagnata USA. Più che diplomazia, è una svendita mascherata da patriottismo.
Meloni a Mar-a-Lago: la svendita dell’Italia a Trump
Giorgia Meloni ha raggiunto Donald Trump nella sua reggia dorata di Mar-a-Lago, per quello che è stato venduto come un trionfo diplomatico, ma che in realtà ha assunto i contorni di un atto di sottomissione politica ed economica. Una visita “storica”, sì, ma non nel senso celebrativo auspicato dal governo: storica come lo sono certi momenti che segnano un’umiliazione nazionale, e che andranno ricordati come moniti, non come glorie.
La Presidente del Consiglio italiana ha attraversato l’Atlantico portando in dono non tanto la propria visione del mondo, quanto una lista di concessioni da firmare a occhi chiusi.
L’agenda dell’incontro? Impossibile definirla tale: la scaletta era dettata da Mar-a-Lago, dalle esigenze mediatiche di Trump, dalla sua necessità di ostentare ancora una volta la capacità di comandare leader stranieri.
Tra sorrisi impacciati e il lusso pacchiano dei saloni trumpiani, Meloni ha incassato una foto – che sarà usata a ciclo continuo nelle campagne social – e ha lasciato sul tavolo pezzi sostanziosi dell’interesse nazionale. L’Italia si è impegnata ad aumentare l’acquisto di gas naturale liquefatto americano – più caro, più inquinante, meno utile del previsto – e ha promesso investimenti per dieci miliardi negli Stati Uniti, in settori scelti strategicamente da Washington.
In cambio? Niente. Nessuna rimozione di dazi sulle nostre esportazioni. Nessuna apertura a favore dell’industria italiana. Nessun gesto concreto. Solo parole, sorrisi, e un buffet di biscotti.
Make the West Great Again: il culto trumpiano secondo Giorgia
Il tutto si è svolto in una cornice volutamente grottesca: la leader italiana, seduta accanto a un Trump sornione, ha parafrasato il celebre slogan del tycoon: “Make the West great again”. Non l’ha detto per scherzo. Non è stata ironia. È stato un atto di fede. Meloni ha adottato l’immaginario trumpiano con un fervore che sfiora la mistica, trasformandosi da alleata di convenienza a zelante apprendista.
Il dato più inquietante, tuttavia, non è la reverenza della Premier italiana, quanto il silenzio con cui questa operazione è stata accolta nel nostro Paese. Nessuna opposizione strutturata. Nessuna indignazione istituzionale. Nessuna interrogazione parlamentare. Solo qualche riga ironica o indignata sui social. Il governo italiano ha consegnato, senza dibattito, senza contropartite e senza mandato esplicito, un ulteriore pezzo della nostra sovranità agli Stati Uniti.
Siamo di fronte a una forma nuova di vassallaggio: non imposto con la forza delle armi, ma con quella delle relazioni pubbliche. Meloni non ha ottenuto una promessa seria in cambio del suo appoggio: solo l’onore effimero di essere usata come simbolo.
Politica estera come propaganda: l’atlantismo fideistico di Palazzo Chigi
Il punto più grottesco della visita è stato forse l’omaggio mediatico orchestrato a posteriori: la narrazione che ne è scaturita, alimentata da organi d’informazione allineati, ha dipinto Meloni come una grande statista, capace di stare “alla pari” con i potenti del mondo.
Ma la realtà, registrata nei pochi commenti stranieri non ancora asserviti alla retorica meloniana, è un’altra: un’Italia che si inginocchia, non per trattare, ma per accontentare. Non per dialogare da pari, ma per elemosinare attenzione. È l’immagine di un Paese che ha smarrito la propria bussola diplomatica, la propria dignità strategica, e forse anche il senso del ridicolo.
Eppure, nulla è davvero sorprendente. L’atlantismo fideistico di Meloni è sempre stato un tratto distintivo del suo governo. La sua idea di politica estera è profondamente ideologica: fondata sull’adesione incondizionata al blocco USA-NATO, al di là di chi lo guidi o di cosa chieda. L’importante è allinearsi, eseguire, mostrare obbedienza. E in questo, Mar-a-Lago non è stato un incidente di percorso, ma l’apoteosi di una dottrina.
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