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Chi grida continuamente contro gli “autocrati” ignora che la vera crisi è interna: l’Occidente ha smantellato le sue classi dirigenti, riducendo la politica a farsa. Il pericolo non viene da fuori.
Veri mediocrati e falsi autocrati
– Fausto Anderlini*
È proprio vero che costoro non hanno mai letto un rigo di Gramsci. Interloquendo con gente del PD ammaestrata dalle penne tonitruanti dei media mainstream, si resta stupefatti dal rozzo e infantile schematismo che la ispira. Fragili menti bisognose, nell’epoca del crollo delle ideologie, di attaccarsi a un credo identitario abbordabile al gusto con immediatezza manichea. Cioè come un hot dog.
Nel supposto contrasto all’ultimo sangue fra cosiddette “democrazie” e autocrazie, queste ultime vengono additate come sorta di satrapie governate da despoti e tiranni, ovvero criminali assetati di sangue. Il confronto fra Stati e grandi aggregati geopolitici è ridotto a una guerra fra guardie e ladri, buoni e cattivi, con bande criminali da trascinare in giudizio con le palle ai piedi.
Nel giudicare i sistemi politici si trascura di considerare che i sistemi sono appunto tali. Con la politica ridotta a un dozzinale film western scompare ogni possibilità di cogliere la complessità e l’articolazione del modo di esercizio del potere e della formazione/riproduzione/circolazione delle classi dirigenti nello sviluppo storico concreto.
Invece, è proprio la qualità e l’autorevolezza delle classi dirigenti che determina la tenuta e il dinamismo degli Stati.
Rassicurati da grottesche raffigurazioni demonologiche, si trascura di vedere che i cosiddetti autocrati additati al pubblico ludibrio sono in realtà espressioni di classi dirigenti capaci di egemonia.
Ogni classe dirigente è un composto plurale, in democrazia come altrove, articolato in diversi strati (politici, economici, tecnico-burocratici, culturali, più generalmente societari). È l’insieme di queste élite che infrastruttura la formazione statale nella sua interezza.
La forza della democrazia, se e solo se è socialmente innervata, è di permettere alle classi socialmente subalterne di partecipare alla vita politica con proprie formazioni dirigenti, appoggiandosi alla divisione dei poteri. Anche quando escluse dal governo, le classi lavoratrici possono così competere con quelle padronali, trovando protezione nella democrazia.
In questo modo, nei Trenta Gloriosi della Repubblica italiana, anche il PCI, pur all’opposizione e con conflitti assai aspri, partecipava alla classe dirigente nazionale. La democrazia decade quando perde questa connotazione sociale e rincula, con la ristrutturazione neoliberista, al primitivismo dello Stato liberale monoclasse.
La dinamica sociale si atrofizza e la classe politica, senza più partiti ancorati alla società e armati di una pluralità di visioni del mondo, perde spessore e autonomia, lasciando il campo a poteri di fatto incontendibili.
La dequalificazione (vero e proprio demansionamento), sino alle forme più grottesche, delle classi politiche del cosiddetto “Occidente democratico” è una eclatante manifestazione di questa decadenza. Personalizzazione pseudo-carismatica, coi suoi svariati pagliacci da un lato, esangue e acefala burocratizzazione dall’altro: sono le conseguenze di una profonda disarticolazione nell’equilibrio dei vari strati della classe dirigente.
La dialettica di classe dirigente, che tocca il suo massimo in una democrazia ben “organizzata” (come la definiva Togliatti, grande leader e legislatore, attorniato da un “gruppo dirigente” di matrice “eroica”), non è necessariamente assente in sistemi a partito unico o con monopolio garantito.
Il partito unico, se capace di egemonia, è necessariamente attraversato da tendenze e dinamiche in grado di intercettare i bisogni del corpo sociale. Dentro il partito si svolge la dialettica che in democrazia è assegnata a partiti politici concorrenti.
Xi e Putin vengono descritti come despoti circondati da consorterie di predoni mafiosi (gli oligarchi) che spadroneggiano in una sorta di neocapitalismo feudale. Niente di più erroneo, e viene semmai da pensare che queste siano fantasie estroflessive di democrazie incattivite. In Cina e Russia i cosiddetti oligarchi, dopo la fase primitiva di accumulazione, sono stati ammansiti nella regia statale di economie miste aperte allo scambio, evolvendo così alla stregua di parte della classe dirigente economica.
Xi non è un dittatore ma il primus inter pares di un’oligarchia dirigente di partito articolata in posizioni, ma accomunata da una granitica saggezza confuciana. Mai passi azzardati e impulsivi. Impossibile, proprio come nel modello gerarchico della Chiesa, che un pazzo, un cretino, un uomo di bassa qualità salga senza controllo al vertice del potere. A fianco di Xi siede cioè una classe dirigente provata.
Aspetto che in certa misura vale anche per la Russia post-sovietica. Dopo la grande crisi, lo Stato russo è stato ricostruito avvalendosi di una classe dirigente della quale Putin è piuttosto il sintetizzatore monocratico. Se è vero che non manca un individuo rodomontesco come Medvedev, una sorta di Salvini slavo, è anche vero che non mancano dirigenti di grande raffinatezza. Emblematico il caso di Lavrov, che può senz’altro essere ascritto alle grandi figure della diplomazia mondiale del passato. Laddove i ministri degli Esteri delle cosiddette democrazie occidentali sono figure scialbe e occasionali.
La Cina e la Russia sono esempi di classi dirigenti dotate di una visione strategica incorporata alla missione statale: l’answer alla domanda posta nel concreto della storia. Ivi, la politica, presentata dai denigratori come un’orgia oscurantista da basso impero, vive piuttosto come arte machiavellica del potere.
La situazione dell’Occidente, a confronto, è letteralmente penosa. Tralasciando il caso americano, dove democratici e repubblicani sono ormai ridotti a consorterie plutocratiche e persino familiste coinvolte in una guerra per bande (basti pensare al Biden di fine mandato, tanto per non restare allo stereotipo gangsteristico trumpiano), quello europeo è letteralmente desolante. Se si fa astrazione dalla Merkel, in questi vent’anni nessun uomo di Stato e di governo all’altezza del compito. Solo figure scialbe o deliranti.
Al degrado delle classi politiche nazionali fa da corrispettivo una nomenclatura dell’Unione, dove a una mera burocrazia legata a precetti formalistici inossidabili quanto fallaci si sovrappone una cerchia di veri e propri figuranti politici comunitari senz’arte né parte. Quando si cerca di porre rimedio all’inconsistenza dei politici professionali ricorrendo a burocrati matricolati presentati come infallibili “cavalli di razza”, si rasenta il ridicolo e il dilettantismo. In Italia ne abbiamo avuto una plastica raffigurazione nel caso di Draghi.
Le riserve auree della Repubblica sono in rapido esaurimento e la crisi delle democrazie è assai più profonda di quanto si creda. La minaccia non viene dagli autocrati, ma dall’interno.
* Dalle riflessioni social di Fausto Anderlini
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