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Il Sahel, tra Sahara e tropici, è oggi epicentro di crisi: jihadismo, colpi di Stato, traffici illeciti e competizione tra potenze come Francia e Russia. Il cambiamento climatico aggrava il caos. Ma storia e resilienza locale offrono chiavi per un futuro diverso.
Il Sahel che resiste
Il Sahel africano, una vasta fascia territoriale che si estende per circa 8.500 chilometri attraverso dodici nazioni africane (comprendendo in particolare ampi territori di Senegal, Mali, Mauritania, Niger, Burkina Faso, Ciad e Sudan), è diventato uno degli scenari più complessi e instabili del panorama geopolitico mondiale.
Questa regione semiarida, che collega il deserto del Sahara a nord con le zone tropicali a sud, è oggi teatro di una crisi multidimensionale dove interessi internazionali, gruppi terroristici, organizzazioni criminali e sfide climatiche si intrecciano in un groviglio apparentemente inestricabile.
Sahel, un crocevia di influenze straniere
Negli ultimi anni, il Sahel è diventato terreno di competizione tra potenze globali. La Francia, ex potenza coloniale, mantiene una significativa presenza militare nella regione con l’operazione Barkhane, giustificata dalla lotta al terrorismo ma percepita da molte popolazioni locali come una forma di neo-colonialismo.
Contemporaneamente, la Russia ha espanso la sua influenza prima attraverso il Gruppo Wagner, una compagnia militare privata che offriva sicurezza ai governi locali in cambio di accesso alle risorse naturali e influenza politica, poi attraverso la sua successiva emanazione riorganizzata dopo la morte del fondatore Evgenij Prigožin, sotto il diretto controllo del Cremlino.
Questo confronto tra potenze si inserisce in un contesto già fragilizzato da decenni di instabilità politica, con una serie di colpi di stato (ben 8 solo negli ultimi anni) che hanno interessato paesi come Mali, Burkina Faso e Niger. La recente ondata di golpe ha segnato un progressivo allontanamento dall’influenza occidentale a favore di nuove alleanze con Russia e Cina.
Il labirinto dei traffici illeciti
Il Sahel rappresenta oggi un hub cruciale per traffici illeciti di ogni genere. La regione è diventata uno snodo fondamentale per il transito della cocaina sudamericana verso l’Europa e il Medio Oriente. Come testimoniato dal celebre caso “Air Cocaine” del 2009, quando un Boeing 727 carico di tonnellate di stupefacenti atterrò su una pista improvvisata nel deserto, i narcotrafficanti hanno stabilito rotte consolidate attraverso questi territori.
Parallelamente, il traffico di armi alimenta l’instabilità dell’intera regione. Le armi circolanti provengono principalmente dai conflitti libici e siriani, e la loro diffusione ha contribuito a militarizzare tensioni che in passato rimanevano contenute, come quelle tra pastori nomadi e agricoltori stanziali.
Non meno drammatico è il traffico di esseri umani, con migliaia di migranti subsahariani che attraversano il Sahel nel tentativo di raggiungere il Mediterraneo e l’Europa, spesso cadendo vittima di reti criminali che li sottopongono a condizioni di sfruttamento paragonabili alla schiavitù moderna.
La minaccia jihadista
La presenza di gruppi terroristici ha trasformato radicalmente il panorama securitario del Sahel. Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) e lo Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS) hanno stabilito basi operative in diverse aree della regione, approfittando della debolezza degli stati e delle tensioni sociali esistenti.
Ciò che distingue il jihadismo saheliano è la sua capacità di ibridazione con le dinamiche locali. I gruppi terroristici non si limitano a imporre un’agenda religiosa, ma si inseriscono nelle fratture etniche, territoriali ed economiche preesistenti, offrendo protezione, giustizia e servizi basilari dove gli Stati hanno fallito. Inoltre, questi gruppi traggono significativi proventi dai traffici illeciti, creando un’economia di guerra che alimenta il conflitto.
La crisi climatica e ambientale. Il passato e il futuro
Sullo sfondo di queste dinamiche, la crisi climatica agisce come moltiplicatore di instabilità. Il Sahel è una delle regioni più colpite dai cambiamenti climatici, con temperature in aumento a ritmi superiori alla media globale. Siccità ricorrenti, desertificazione e piogge irregolari hanno devastato i mezzi di sussistenza tradizionali basati sull’agricoltura e la pastorizia.
Il lago Ciad, un tempo quarta riserva idrica africana, ha perso oltre il 90% della sua superficie, privando milioni di persone di una risorsa vitale. Progetti internazionali come la “Grande Muraglia Verde”, pensati per contrastare la desertificazione, hanno spesso mancato i loro obiettivi, trasformandosi in opportunità di corruzione per le élite locali.
Nonostante il quadro attuale, è importante ricordare che il Sahel ha una ricca storia di civiltà prospere e scambi culturali. La regione è stata culla di grandi imperi come il Mali e il Songhai, e centri di cultura e commercio come Timbuctu hanno brillato come fari di conoscenza. Per secoli, diverse comunità religiose ed etniche hanno coesistito pacificamente, sviluppando meccanismi di adattamento alle difficili condizioni ambientali.
Questa eredità storica rappresenta una risorsa importante per immaginare un futuro diverso. Le soluzioni alla crisi del Sahel non possono venire dall’esterno o limitarsi a interventi militari, ma devono basarsi sulla resilienza delle comunità locali e sul ripristino di sistemi di governance inclusivi che rispettino le tradizioni di coesistenza e adattamento che hanno caratterizzato la regione per secoli.
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