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Il conflitto “Israele contro Hamas” funziona come un bestseller: Israele è il protagonista, Hamas l’antagonista, le vittime civili restano fuori campo. Una narrazione perfetta per i media, ma che confonde fiction e realtà, anestetizzando empatia e senso critico.
Israele contro Hamas
L’incendio apocalittico che stringe nella morsa Gerusalemme – tra le urla di approvazione dei sostenitori di Hamas, è un nuovo capitolo mediatico delle disavventure che l’eroe della storia, ovvero l’unica “democrazia del Medio Oriente”, deve affrontare per giungere al lieto fine.
Tutto questo si inserisce in un contesto narrativo che per essere compreso va studiato da un altro punto di vista. Le regole della scrittura creativa, se ben osservate, non servono soltanto a scrivere romanzi. Possono offrire strumenti preziosi anche per comprendere i meccanismi dei media, soprattutto quando si affrontano narrazioni tanto pervasive quanto polarizzanti.
È il caso di Israele contro Hamas, autentico best seller del nostro tempo: circola ovunque, in forma di articolo, editoriale, notizia da telegiornale, servizio da talk show, vignetta, clip animata, discussione da bar, conversazione in famiglia. Una narrazione onnipresente, che ha saputo imporsi come la storia dominante degli ultimi mesi.
Ma come funziona, da un punto di vista narrativo, questo “racconto” di successo?
Tre elementi per ogni buona storia
Chiunque abbia studiato le basi della scrittura creativa sa che ogni racconto efficace poggia su tre pilastri:
- Un protagonista.
- Un obiettivo.
- Un ostacolo (o una serie di ostacoli) da superare.
Sembra semplice – e lo è. Pensiamo a Il Signore degli Anelli: Frodo deve distruggere l’anello, Sauron fa di tutto per fermarlo, ed ecco servita una grande epopea. Pensiamo a Il Padrino: Michael Corleone vuole proteggere la famiglia, ma nemici interni ed esterni lo spingono verso un destino oscuro. Ed ecco un capolavoro del racconto epico e tragico. Pensiamo a Harry Potter: il giovane mago vuole sconfiggere Voldemort, ma deve affrontare prove, tradimenti e battaglie. E nasce così una saga globale. La stessa struttura regge Israele contro Hamas.
1. Il protagonista
Come si deduce dal titolo, il protagonista è Israele. Non serve che il protagonista sia moralmente impeccabile: è sufficiente che la narrazione si svolga dal suo punto di vista, e l’identificazione del lettore (o spettatore) sarà automatica. I media mainstream italiani – così come buona parte di quelli occidentali – hanno abbracciato integralmente questa prospettiva, facilitando l’immedesimazione. Israele, dunque, è il personaggio principale della storia.
2. L’obiettivo
Il fine dichiarato del protagonista è distruggere Hamas. Una formulazione strategica: dire che Israele vuole annientare “i palestinesi” renderebbe la narrazione molto più problematica, tanto sul piano etico quanto su quello narrativo. Alcuni “lettori difficili” potrebbero obiettare che l’obiettivo appare inverosimile – Hamas è un’organizzazione radicata in un contesto sociale e politico, non un esercito regolare. Anche in caso di sconfitta militare, si rischierebbe solo di produrre una nuova generazione di miliziani, ancora più radicalizzati.
Ma questi sono problemi di realismo, non di struttura narrativa. E come sanno bene gli sceneggiatori, il pubblico può perdonare molte cose, purché la storia tenga alta l’attenzione e rispetti le aspettative emotive.
3. Gli ostacoli e l’invisibilità delle vittime
Uno dei segreti della narrazione di successo è evitare che il pubblico empatizzi con chi ostacola il protagonista. Nella narrazione dominante, i palestinesi – o meglio, le vittime civili palestinesi – vengono presentati come numeri, mai come storie. Non c’è una Lucia che piange, un Renzo che corre tra le barricate. Nessun volto ricorrente, nessuna biografia che dia profondità al dolore.
Ecco un altro paradosso: l’aumento costante del numero delle vittime, ben oltre le 50.000, non rafforza l’impatto emotivo, ma lo indebolisce. L’opinione pubblica, superata una certa soglia, si anestetizza. Le morti diventano una routine narrativa: prive di variazione, ripetitive, non offrono più spunti per un coinvolgimento autentico. Così la narrazione prosegue senza ostacoli: il protagonista continua la sua azione, il lettore/spettatore non viene disturbato da dubbi morali.
Una storia che funziona… troppo bene
Paradossalmente, proprio perché così ben costruita, la storia di Israele contro Hamas rischia di rendere opaca la realtà. La scrittura creativa insegna che ogni racconto è una selezione del reale, non una sua copia fedele. La scelta di un punto di vista, la definizione di un obiettivo, la gestione delle vittime e dei nemici: tutto è funzionale al coinvolgimento del pubblico, non alla comprensione del mondo.
Eppure, in democrazia, il racconto non può sostituire l’analisi. Non possiamo limitarci a guardare il conflitto come se fosse una saga, una fiction, una trama ben costruita. Perché dietro ogni capitolo, ogni svolta narrativa, ci sono esseri umani veri, dolori autentici, vite spezzate.
Riconoscere le regole del racconto è solo il primo passo. Il secondo è decidere se vogliamo continuare a confondere la narrazione con la verità.
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