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L’attivista post-moderno è diventato liquido

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Anche l’attivismo è diventato liquido, impalpabile, non concepisce mediazione e orizzonti collettivi di crescita ed è sempre pronto a scegliere una “comodità” personale nascosta però da una irremovibilità morale.

L’attivista post-moderno

La post-modernità, con la sua propensione alla celebrazione dell’immateriale finanziario, delle emozioni intimiste e al confezionamento di individui accecati dallo splendore del presente, ha coltivato una nuova figura umana: quella dell’attivista.

Un nuovo modo di intendere la partecipazione politica rispetto al passato poiché condizionata da dogmi indisponibili, ermetici e impenetrabili; quindi, poco inclini nell’adattarsi alla complessità di un ragionamento o alla tortuosità di un dibattito.

Su tali convinzioni l’attivista costruisce una vera e propria performance politica particolarmente compatibile con il frastuono cinguettante e inconcludente dello Spettacolo contemporaneo dove le conquiste si misurano in visibilità mediatica e in spendibilità pubblica.

L’attivista dunque persegue una missione d’impresa in grado di fortificare le proprie certezze attraverso l’arricchimento del proprio capitale sociale valutabile dal rango o dal lustro dei contatti accumulati.

L’attivismo è un modello di partecipazione individuale assai fragile in quanto la propulsione che innesca l’impegno ha una dipendenza tossica con la proiezione della credibilità personale verso l’esterno.

Questo approccio è del tutto incompatibile con la classica militanza in strutture organizzate, in partiti o in sindacati. Difatti la militanza pone sempre al centro del discorso un collettivo – che sia la comunità degli iscritti, la classe, il popolo, la cittadinanza, la massa – e le proprie convinzioni si dispiegano al servizio del dibattito.

Il terreno di confronto in una struttura di militanti è sempre, e deve essere sempre, di natura politica in uno sviluppo delle idee intrecciato ai legami personali che si formano nel giorno per giorno all’interno del collettivo.

I propri punti di vista su interpretazioni della realtà o della lotta che non intaccano il quadro generale, lo spirito o la collocazione storica di una struttura, dovranno essere messi a disposizione della dialettica generale attraverso interventi, pubblicazioni, convegni, seminari, per rendere efficaci quelle convinzioni sia all’interno del corpo di militanti sia all’esterno con il perseguimento di una linea politica.

Risulta certamente un ingranaggio meno propenso a regalare soddisfazioni personali, certamente più faticoso, ma che salva l’organizzazione, che dà credibilità al partito e meno al singolo nell’immediato.

Ma soprattutto è un modello in grado di amalgamare le rivendicazioni che si formano nella lotta quotidiana con il perseguimento dello scopo finale, spontaneità della base o della classe di riferimento con la direzione politica, in grado dunque di formare coscienza e consapevolezza sulla necessità storica di un’idea, proprio perché non esistono leggi immutabili dello sviluppo sociale ma solo tendenze da interpretare correttamente a seconda delle mutazioni sociali, economiche e culturali.

Per questo motivo una convinzione elevata a dogma non suscettibile di revisione critica mal si adatta alla contestazione del sistema capitalista che al contrario è per sua natura camaleontico e supportato da una morale ideologica non prestabilita ma che si adatta allo spirito dei tempi in ragione delle convenienze di profitto.

Oggi, soprattutto nelle generazioni più giovani, colpite dalla scomparsa dei partiti di massa e ammaestrate dall’abbaglio semplificatorio dato dalla “confidenza” con i social network, la scena politica si è riempita di un attivismo rampante e indomito.

Un attivismo che sopporta la partecipazione a strutture organizzate solo nel momento in cui quelle organizzazioni riproducono alla lettera le convinzioni del singolo su ogni singola tematica.

In questo modo a qualsiasi scostamento dalla propria visione del mondo corrisponde una delusione irrimediabile perché ciò che preme all’attivista contemporaneo è la propria credibilità da sfoggiare nelle relazioni mondane.

Non c’è da fidarsi troppo di questo portamento partecipativo, propenso a sbalorditivi entusiasmi iniziali che regolarmente si spengono nell’attimo effimero del momentaneo. Le anime sono scaldate da temi specifici, tendenzialmente quelli di giornata o del momento (il clima, la pace, il genere, i vaccini, la geopolitica), affrontati sempre con impronta mistica, illuminata dalla scoperta di una nuova pietra filosofale senza mai ricondurre quella singola questione alla totalità sociale.

Questo attivismo è liquido, impalpabile, non concepisce spazi di mediazione e non terrà mai in considerazione orizzonti collettivi di crescita. Sarà sempre propenso nello scegliere una “comodità” personale nascosta però da una irremovibilità morale inorgoglita dalle proprie convinzioni.

Genera un manicheismo spropositato e impolitico. È incapace di formare una comunità solida ma solo la sua versione mercificata denominata, sempre all’inglese quando si confondono impegno e prestazione, community.

Il flash mob, le kermesse modellate sui festival cinematografici e le occupazioni estemporanee rappresentano i tipici strumenti di lotta degli attivisti. Non si rivolgono alla collettività, non puntano alla sedimentazione di un’idea nella coscienza collettiva, bensì cercano un’eco, un rimbombo scenografico e appariscente; sono rivolti a un pubblico.

La fiamma prestazionale dell’attivista è sempre pronta a spegnersi quando l’impegno profuso appare inconcludente o quando si dissolve la levatura mediatica dell’argomento di giornata. Sopravvengono a quel punto urgenze esistenziali private e l’esperienza vissuta potrà riempire la propria scheda curriculare per accreditarsi in un buon impiego.

Un ardore, quello dell’attivista, incapace di politicizzare la vita personale in quanto non si identifica con la propria condizione reale di lavoratore o di cittadino. Per questo non trasforma i luoghi della propria vita in spazi conflittuali.

Al contrario la militanza costante, solida, che si misura nel tempo appare una delle precondizioni perché l’intera società possa essere nuovamente politicizzata.

L’altra è la costruzione di soggetti politici agganciati alla realtà dei bisogni delle classi subalterne, magari con la prospettiva di conquistare lo Stato e non di sopravvivere a una singola tornata elettorale.

Ferdinando Pastore
Ferdinando Pastore
"Membro dell'esecutivo nazionale di Risorgimento Socialista, ha pubblicato numerosi articoli di attualità politica incentrati sulla critica alla globalizzazione dei mercati e sui meccanism di funzionamento dell'Unione Europea. Redattore dell'Interfenreza e editorialista de Il Lavoro"

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