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I “ceti riflessivi” ostacolano lo scambio di significato tra politica e realtà, intrappolati nella loro autoreferenzialità, chiusi e insensibili alle esperienze esterne. Tuttavia, possono contare sul sostegno dei media e sul loro potere di influenza.
I ‘ceti riflessivi’ e la democrazia
In Italia, il ruolo dei cosiddetti “ceti riflessivi” è oggi al centro di una profonda crisi di rappresentanza e comunicazione tra politica e società civile.
Questo gruppo, composto prevalentemente da intellettuali, opinionisti e media, sembra spesso distante dalla realtà e poco incline a mettere in discussione le proprie convinzioni, assumendo piuttosto un atteggiamento autoreferenziale.
La loro visione, incapace di adeguarsi ai cambiamenti, rappresenta una barriera, un “tappo” che ostacola il dialogo tra il mondo delle istituzioni e quello della vita quotidiana.
Chi sono i ceti riflessivi?
I ceti riflessivi rappresentano una parte influente della società, che si autodefinisce “illuminata” e che esercita un forte controllo sui mezzi di comunicazione e sulle opinioni correnti.
Questi soggetti sono soliti discutere di politica e storia utilizzando concetti astratti, spesso disconnessi dai fatti concreti e dall’esperienza reale delle persone comuni. Nonostante la loro capacità di argomentare in modo apparentemente sofisticato, mancano di memoria storica e si mostrano incapaci di ricordare quanto detto loro poco prima rispetto a ciò che viene affermato nel presente.
Questo li rende vulnerabili a narrazioni incoerenti e contraddittorie, che accolgono senza riserve, purché siano proposte da fonti “autorevoli” dei media.
Un circolo autoreferenziale
I ceti riflessivi appaiono dunque come una categoria che dialoga essenzialmente con sé stessa, priva di un vero confronto con il mondo esterno. Manca in loro l’attitudine a verificare e a comprendere le dinamiche reali, e spesso l’esperienza stessa sembra passare in secondo piano rispetto ai loro presupposti teorici.
Questa mancanza di adattabilità e di ascolto è associata a una “spocchia” intellettuale che li porta a discettare di questioni complesse come se avessero risposte certe, ma senza basarsi su conoscenze approfondite o aggiornate.
Questa chiusura mentale rappresenta un ostacolo per il paese, poiché questi individui, privi della capacità di apprendere dall’esperienza, finiscono per imporre una visione che non riflette la complessità e la fluidità della realtà contemporanea. Invece di rispondere alle sfide sociali ed economiche del presente, i ceti riflessivi si limitano a reiterare schemi e categorie concettuali superate.
La stupidità è un potere
L’incapacità dei ceti riflessivi di adattarsi alla realtà non è semplicemente un limite individuale, ma ha ripercussioni ben più ampie. Questa chiusura mentale e l’arroganza intellettuale sono sostenute da giornali e piattaforme influenti che rafforzano e diffondono questa visione autoreferenziale.
Così, la “stupidità”, intesa come incapacità di apprendere e confrontarsi realmente con il mondo, diventa un potere sociale che non solo esercita un’influenza dannosa, ma frena attivamente il progresso e l’evoluzione del paese.
L’effetto di questa dinamica è un blocco nella “circolazione del senso”, ovvero un’interruzione nella comunicazione tra la politica e le reali esigenze della società. Senza un sistema culturale che rifletta autenticamente la realtà e i bisogni delle persone, si crea un vuoto di rappresentanza e una distanza incolmabile tra chi governa e chi è governato.
Crisi della democrazia
L’influenza dei ceti riflessivi e la loro incapacità di comprendere la realtà rappresentano quindi uno dei nodi della crisi democratica contemporanea. Essi impediscono la mobilità delle idee e delle persone, impedendo alla democrazia di evolversi e rispondere alle nuove sfide. La politica diventa così un circolo chiuso, in cui chi ha il potere di esprimere idee e influenzare l’opinione pubblica resta impermeabile ai cambiamenti.
Al contrario, le “masse popolari” sembrano avere una capacità di percezione più avanzata. Esse comprendono più intuitivamente le questioni in gioco, grazie a un contatto diretto con le problematiche concrete e quotidiane che i ceti riflessivi ignorano o sottovalutano. Questo scollamento tra il sistema culturale elitario e la realtà delle interazioni quotidiane crea una frattura che mina la fiducia nelle istituzioni e nel sistema democratico.
Per superare questa crisi, è necessaria una nuova forma di responsabilità e autocritica all’interno dei ceti riflessivi. Occorre che essi si aprano alla realtà e alle esperienze vissute dalle persone comuni, riconoscendo i propri limiti e abbandonando quell’autoreferenzialità che finora li ha contraddistinti.
La democrazia necessita di una classe intellettuale e di una stampa capaci di fare autocritica, di interrogarsi e di rimettersi in discussione di fronte alle sfide della modernità.
Solo attraverso questa apertura e la ricostruzione di un dialogo vero tra cultura e vita quotidiana sarà possibile ricucire lo scollamento che oggi minaccia il sistema democratico.
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