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Gramsci senza bandiera rossa: la libertà secondo i custodi della memoria

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Il 27 aprile al cimitero acattolico di Roma è stato vietato l’uso della bandiera rossa sulla tomba di Gramsci. La direttrice l’ha definita divisiva, scatenando polemiche. Ma quel vessillo, simbolo storico di giustizia e riscatto, è parte stessa della memoria gramsciana.

Gramsci senza bandiera rossa

C’è un’Italia che ama commemorare Antonio Gramsci solo a patto che non ricordi troppo chi era. Un’Italia che depone fiori, ma censura i simboli. Un’Italia che, nel nome del decoro e della “neutralità”, decide che la bandiera rossa – simbolo storico di riscatto, di giustizia sociale, di lotta al fascismo – sia fuori luogo persino sulla tomba di chi quella bandiera contribuì a renderla idea viva e universale.

L’episodio avvenuto il 27 aprile al Cimitero acattolico di Roma, in occasione della commemorazione annuale promossa dalla International Gramsci Society Italia, è un segnale inquietante. Un campanello d’allarme che suona all’unisono con una tendenza ormai pervasiva: la riscrittura depurata, addomesticata, neutralizzata della storia.

La direttrice del cimitero, la dottoressa Amanda Mazurek, ha contestato la presenza tra il pubblico di una bandiera rossa senza simboli di partito – solo versi di Pasolini. Nessuna falce, nessun martello. Solo il colore. Il rosso. Quello che, a quanto pare, disturba. Perché “potrebbe risultare offensivo per altri sepolti e i loro parenti”. Come se la memoria antifascista fosse qualcosa da cui difendersi, un’imposizione ideologica da bilanciare con l’ipocrita par condicio del silenzio.

Ci si chiede: è davvero questa l’epoca in cui viviamo? Una stagione in cui la bandiera di chi morì nelle fabbriche, nelle campagne, sui monti della Resistenza deve chiedere il permesso di comparire, timidamente, tra i cipressi di un cimitero?

Gramsci non è un filosofo neutro. È stato un comunista. Un prigioniero del fascismo. Un uomo che ha lottato fino alla fine contro ogni forma di oppressione. La sua figura non può essere recisa dal suo pensiero, così come il suo pensiero non può essere ridotto a oggetto da museo, da venerare senza comprendere.

Gramsci con il rosso ci ha vissuto, scritto, pensato. E se una bandiera rossa con versi pasoliniani – poetici, non incendiari – non può essere alzata accanto alla sua lapide, allora stiamo parlando di un divieto che non riguarda un semplice tessuto colorato, ma una precisa volontà di depurazione simbolica.

La domanda che resta sospesa, lanciata come un sasso contro le mura della nuova rispettabilità istituzionale, è semplice: a chi dà fastidio oggi la bandiera rossa? Non certo ai morti del cimitero acattolico. Non certo a chi conosce la storia. Forse a chi della storia ha paura. A chi si ostina a credere che l’antifascismo sia ormai un cimelio, un orpello ideologico superato, un fastidio da limitare a date prestabilite, come una liturgia inoffensiva e sempre più stanca.

Il pretesto dell’“offesa” è in realtà un meccanismo ben rodato del nuovo conformismo: tutto ciò che esprime conflitto, memoria viva, identità politica, viene etichettato come divisivo. E dunque rimosso.

Ma come può essere divisiva una bandiera che ha unito – nella lotta e nella speranza – generazioni intere di lavoratori, intellettuali, partigiani, emigrati, poveri, esclusi? In nome di cosa si nega la legittimità di un simbolo che la nostra stessa Repubblica, nelle sue fondamenta, deve rispettare? Forse oggi la Costituzione si può citare solo per arginare chi protesta, ma non per difendere chi la incarnò nei propri ideali?

Lo si dica chiaramente: impedire la presenza di una bandiera rossa accanto alla tomba di Gramsci non è un atto di equilibrio, è un atto di censura. E come tale deve essere denunciato. Non basta “rispettare” Gramsci, bisogna capirlo.

Non basta conservare la sua tomba, bisogna essere all’altezza della sua eredità. E la sua eredità non è neutrale: è quella di un pensiero critico, radicale, che chiamava le cose con il loro nome. Un pensiero che non si sarebbe mai inchinato alla rispettabilità borghese che oggi vuole trasformare i cimiteri in showroom del silenzio ideologico.

Chi teme una bandiera rossa teme ciò che essa ancora rappresenta. E il fatto stesso che susciti timore – e che si senta il bisogno di proibirla – dimostra che non è morta. Che è ancora viva. Come i versi di Pasolini che la accompagnavano:
«Ridiventa straccio, e il più povero ti sventoli».

Forse è proprio questo il problema. Che quella bandiera parli ancora ai poveri, ai diseredati, agli ultimi. Che non si limiti a decorare, ma continui a disturbare.

 

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Marquez
Marquez
Corsivista, umorista instabile.

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