Sono giorni di cronaca nera per l’Italia e per le donne. Tre omicidi di donne a poche ore di distanza. Sono già 11 femminicidi in questo 2021 appena iniziato.
11 femminicidi ci ricordano quanto sia importante il femminismo e cosa davvero significhi
Clara Ceccarelli, di Genova, uccisa con 100 coltellate dall’ex compagno.
Deborah Saltori, di Trento, uccisa con un’accetta dall’ex marito.
Rossella Placati, di Ferrara, uccisa con un corpo contundente dall’attuale compagno.
Insieme a loro, vittime di femminicidio nell’appena iniziato 2021, ricordiamo: Sharon Barni, Victoria Osagie, Roberta Siragusa, Teodora Casasanta, Sonia Di Maggio, Piera Napoli, Luljeta Heshta, Lidia Peschechera.
11 femminicidi in appena due mesi di questo 2021: possiamo considerare ancora civile un paese con questi numeri?
Una piaga sociale che nell’ultimo anno è cresciuta tragicamente, forse a causa dello stress e della depressione generati dalla pandemia. Fino all’anno scorso, nella totalità degli omicidi commessi in Italia, i delitti con movente passionale contro le donne erano 1 su 4, oggi sono quasi 2 su 4.
Crimini compiuti dalle stesse mani dell’uomo che professava loro amore, fino a poco tempo prima.
Un’ondata di violenza contro le donne che quasi sempre nasce dall’incapacità dell’assassino di accettare il rifiuto emotivo e dalla considerazione della donna come oggetto di proprietà.
Se ne parla ogni giorno, si fa divulgazione, si creano nuove leggi – vedi: codice rosso, legge n 69 del 19 luglio 2019 –, si chiede ai media di cambiare narrazione, si fa sensibilizzazione sociale, eppure le vittime, le donne ammazzate, continuano ad essere tante.
La verità è che, questa drammatica tendenza violenta, continuerà a salire finché non riusciremo a conquistare realmente la parità di genere; miraggio occidentale che interessa tanto le donne quanto gli uomini.
Dalla Rivoluzione francese le donne iniziano a combattere per invertire la tendenza patriarcale della società: abbiamo combattuto per ottenere gli stessi diritti civili dell’uomo, per poter indossare i pantaloni, per avere il diritto al voto, per emanciparci dai mariti, per farci eleggere in politica.
Nel 1996 la legge contro la violenza sessuale diviene reato contro la persona, prima di allora si trattava di un reato contro la morale pubblica e il buon costume. Oggi lottiamo per non farci uccidere.
Sembra una retrocessione, ma in verità è il sintomo, più doloroso, del cambiamento che stiamo portando.
Siamo all’inizio di una rivoluzione sociale che richiederà ancora decenni e decenni di lotta, perché si tratta di eradicare un problema antico come l’uomo. È dalla costola dell’uomo che nasce la donna, dice la Bibbia, ed è solo dall’illuminismo che urliamo a gran voce che non è così.
Siamo femministe e dovremmo esserlo tutte, perché per troppo tempo siamo state assoggettate al sopruso maschile, abbiamo lasciato che calpestassero i nostri diritti e ora per riprenderceli dobbiamo urlare ancora più forte. Essere femministe significa battersi per la parità di genere, senza offendere gli uomini o pensare che tutti siano violenti.
Molti rappresentanti del sesso maschile oggi si sentono minacciati dal femminismo, forse più di quanti osino ammetterlo, perché si fa ancora poca divulgazione. Il retaggio maschilista inquina il loro punto di vista, faticano a capire di cosa parliamo realmente quando difendiamo il nostro sesso. Molti – e molte, ahimè – pensano persino che essere femministe voglia dire non depilarsi, non farsi aiutare da un uomo per sollevare un peso, prendere qualche buscopan in più e non assentarsi mai dal lavoro, tentando di annullare le differenze invece di accettarle.
Ma il femminismo è un movimento di libertà, è un percorso verso la consapevolezza. Se una donna non vuole depilarsi che non si depili, chi se ne frega! Ciò che conta è che la sua sia una scelta consapevole e libera.
Se una donna non vuole avere rapporti con uomo, se vuole lasciarlo, deve poterlo fare senza alcuna ripercussione e senza timore di ripercussioni. Se una donna vuole avere un figlio non deve rischiare di essere licenziata. Questo è il femminismo: la spinta verso l’equanimità. Il diritto di prendere decisioni serenamente e liberamente, come spetta agli uomini, in qualsiasi ambito delle nostre vite.
La valletta che recita la parte della casalinga sexy in diretta nazionale e impartisce lezioni su come spingere il carrello in maniera sensuale deve essere ben conscia del fatto che quella scenetta – certamente pensata da un uomo – origina da e nutre l’idea della donna come oggetto del desiderio maschile, ben lungi dall’essere emancipata, troppa sciocca per occuparsi di politica, dedita solo alle faccende di casa e resa carne viva dal numero di sguardi maschili che riuscirà ad attirare in quella sfilata al discount.
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La valletta che accetta quella parte non comprende cosa si celi dietro, la pagano bene, non immagina il polverone che tirerà su, perché anche lei è vittima ignara, oggetto passivizzato, del punto di vista patriarcale. Chiede venia e spera che tutti dimentichino in fretta.
Ma noi non dimentichiamo, non dobbiamo e non possiamo. Come non possiamo dimenticare le donne ammazzate.
Clara Ceccarelli si era già pagata il funerale, sapeva come sarebbe andata a finire. Deborah Saltori aveva denunciato il marito più e più volte, aveva cercato di reagire. Rossella Placati ancora condivideva casa con l’uomo che le ha preso la vita.
Qualcuno disse che ogni atto di violenza, commesso in qualsiasi luogo, è un crimine contro l’umanità intera; ebbene essere femministe significa ricordare queste parole, sentirle sulla pelle e sapere purtroppo che sono vere.
Bisogna parlarne di queste cose, con gli uomini ma anche con le donne, ancora e ancora. Dobbiamo essere femministe, dobbiamo continuare a farci sentire, dobbiamo ricordare i nomi di tutte le donne uccise, dobbiamo educare i nostri figli a rispettare tanto le femmine quanto i maschi, dobbiamo richiedere programmi di sensibilizzazione alle istituzioni educative. E dobbiamo continuare a farlo, giorno dopo giorno, per poter colmare quel gradino che ci pone al di sotto degli uomini senza alcun motivo.
La parità di genere è come la rivoluzione copernicana: pone la donna al centro, fianco a fianco dell’uomo.
Ci vollero quasi due secoli perché la teoria eliocentrica venisse accettata, e ci vorrà ancora molto prima che il nostro Consiglio dei Ministri sia composto al 50% da donne, ma arriverà anche quel giorno e allora tutte le donne uccise popoleranno la memoria sociale come monito di questa battaglia.
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