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L’indimenticabile Virtus Roma di Bianchini che vinse scudetto e Coppa dei Campioni tra il 1983 e il 1984, trascinata da Larry Wright.
Virtus Roma sul tetto del Mondo
Fino ai primi anni 80 lo scudetto nel basket era una questione che si risolveva tra i confini della Lombardia e dell’Emilia Romagna. Era una vicenda che riguardava Milano, Cantù, Varese e Bologna.
Nel 1982 l’Olimpia Milano, guidata dal mitico Dan Peterson, vinse il ventesimo scudetto e la seconda stella. Dan Peterson, in diverse occasioni, parlerà della sua squadra come il 25esimo team della NBA.
Ma a Roma i tempi sono maturi per costruire una squadra che spezzi il dominio nordista e soprattutto che lanci la sfida alla Milano del pallone a spicchi.
Nell’estate del 1982 arriva sulla panchina della Virtus Roma Valerio Bianchini. Il coach è reduce dallo scudetto vinto nel 1981 alla guida di Cantù, il primo tassello di un tris che si concluderà con lo scudetto a Pesaro alla guida della Scavolini.
La squadra ha una forte componente italiana, giovani di belle speranze ma con una forte personalità ed esperienza: Enrico Gilardi, giocatore silenzioso ma con una grande intelligenza tattica, Stefano Sbarra talentuosa guardia, Renzo Tombolato centro dalla forte fisicità che catturava rimbalzi e faceva ripartire l’azione, Marco Solfrini ala con una devastante capacità di penetrazione, e il capitano Fulvio Polesello il leader del gruppo dei romani.
Sotto canestro c’è Kim Hughes, centro di 211 cm reduce da 6 stagioni in NBA, ma un infortunio lo costringe ai box nel finale di stagione, viene rimpiazzato con Clarence Kea, prelevato dai Detroit Spirits all’alba dei playoff: riprendendo le parole dello stesso Bianchini, diventerà il primo pivot capace di fermare Dino Meneghin.
Ma la vera star americana è un folletto nero di soli 175 cm proveniente dai Detroit Pistons: Larry Wright.
Nell’estate del 1982, Valerio Bianchini vola in Louisiana per ingaggiare Wright un playmaker di grandissimo talento ma anche dal carattere focoso e difficile. Uscito dal college di Grambling State Wright, nel 1976, entra in NBA dalla porta principale, scelto con la numero 14 al draft dagli allora Washington Bullets.
La sua stagione da rookie è già solida, e i numeri migliorano nelle due successive, dove arriva a toccare i 9.3 punti e 4.1 assist di media. Wright dimostra subito di essere un giocatore importante e nel 1978 si mette al dito l’anello con i Bullets vittoriosi per 4-3 sui Seattle Supersonics.
Bianchini riesce a convincere Wright ad accettare l’offerta, e il folletto nero della Louisiana attraversa l’Oceano per raggiungere Roma, dove diventerà uno dei più grandi giocatori della storia del basket europeo.
Wright è un crack per la Serie A e Roma chiude la regular-season in vetta alla graduatoria. Dopo aver usufruito del bye al primo turno dei playoff Roma supera Gorizia con un secco 2-0 ed elimina Cantù, Campione d’Europa, in rimonta (2-1). In finale trova Milano di Dan Peterson, Mike D’Antoni, Dino Meneghin e Roberto Premier.
Gara 1 è una vittoria tiratissima per 86-83 davanti a 11.500 persone, ma Milano pareggia i conti nella partita successiva, con Gallinari che annulla Wright. La bella, disputata al Palazzo dello Sport di fronte a 14.348 spettatori paganti, è un trionfo: finisce 97-83 con 23 punti di Gilardi, 22 di Wright e 18 di un Clarence Kea solidissimo sotto canestro. La squadra festeggia con i tifosi per tutta la notte in Piazza del Popolo, il primo scudetto della sua storia.
Roma partecipa, nella stagione successiva, alla Coppa dei Campioni. Il gruppo è pressoché invariato, in campionato non entrano neppure nei playoff, in Europa invece la musica è diversa. Roma supera agilmente i due turni di qualificazione, asfaltando i lussemburghesi del Dudelange prima e gli albanesi del Partizani Tirana.
Nel gironcino finale a 6 squadre, è insieme a Cantù campione in carica, al Bosnia Sarajevo, al Maccabi Tel Aviv, al Limoges e al Barcellona. Roma e i blaugrana chiudono appaiate in testa con 7 vittorie in 10 gare, e si danno appuntamento per la finale del 2 marzo 1984 al Patinoire di Ginevra, in Svizzera.
In finale Roma parte malissimo. Ha un evidente gap fisico, centimetri sotto canestro ed anche un gap di esperienza. A parte Wright, nessuno dei giocatori della squadra di Bianchini ha mai disputato partite di questo livello. La differenza si nota nelle fasi iniziali del match: il talentuso San Epifanio, 31 punti e 5 assist alla fine, trascina il Barça a +13 (35-22) e mantiene un vantaggio in doppia cifra all’intervallo 42-32.
A fine primo tempo siamo sotto di dieci punti. Giochiamo male, senza testa, con poco mordente. Mentre vado verso lo spogliatoio, penso a cosa dire alla squadra per farla reagire. Lì trovo invece Larry Wright, arrabbiatissimo, che sbraita in un dialetto della Louisiana. Noi tutti zitti. Alla fin lo guardo e gli dico -Si Larry, hai ragiom, faremo come dici tu.- E Furono le mie uniche parole pronunciate. Valerio Bianchini
Nel secondo tempo, Wright prende in mano la partita bombardando la retina blaugrana da ogni posizione. Praticamente gioca da solo contro la squadra catalana. Trascina con la sua prestazione anche i compagni che nel primo tempo era stati travolti dal gioco barcelonista.
Un cecchino implacabile che realizzerà il punto del sorpasso a metà ripresa. Chiuderà con 27 punti e 4 assist, mentre il 22enne Sbarra metterà in ghiaccio la vittoria realizzando, con enorme freddezza da veterano, i due tiri liberi per il79-73 finale. Roma diventa la prima squadra esordiente a vincere la Coppa dei Campioni, e la quarta italiana dopo il trittico lombardo Milano-Cantù-Varese.
Il conto salirà poi a 5, record europeo, quando si aggiungerà anche la Virtus Bologna alla fine degli anni ’90.
A fine stagione Wright lascia la Virtus e firma con la Fantoni Udine. Roma chiude l’epoca d’oro con la conquista della Coppa Intercontinentale. Con Raymond Townsend e Bruce Flowers, nel settembre del 1984, a San Paolo, Roma supera i brasiliani del Sirio, gli argentini dell’Obras Sanitarias di Buenos Aires, batte nuovamente il Barcellona (86-85) e solleva il trofeo.
Si chiude l’epoca d’oro del basket capitolino. Due anni esaltanti che hanno portato la Roma del basket sul tetto del mondo.
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