Nel giorno in cui Friday for Future torna nelle piazze per portare la crisi climatica al centro dell’agenda mondiale, la domanda da farsi è: possiamo ancora salvare il pianeta?
Cambiamenti climatici e responsabilità dell’uomo: possiamo ancora salvare il pianeta?
Qualcuno è fermamente convinto che le catastrofi naturali che hanno recentemente fatto irruzione nel panorama mondiale, accompagnate poi, come se non bastasse, da pandemia e crisi economica, fossero state ampiamente previste da Nostradamus, che avrebbe affibbiato al 2020 l’epiteto di anno terribile.
Alla resa dei conti tutti concordano, talvolta con un’esplicita forma di sarcasmo che spopola nei meme sui social, su quanto questi ultimi mesi si siano rivelati non proprio positivi per una molteplicità di aspetti.
Se ci soffermassimo in particolare sugli effetti dei cambiamenti climatici noteremmo che le fonti mettono a nostra disposizione dati ben precisi: 4.500 decessi nel 2019 correlati a disastri causati da tale problematica e conseguenti danni che ammontano a migliaia di dollari.
Greta Thumberg: dopo la pandemia tornano i “Fridays for future”
Sulla scia di notorietà che la giovanissima Greta Thumberg ha prodotto con le sue manifestazioni contro il cambiamento climatico, sfociate poi nel movimento Fridays for future, una moltitudine di studenti si è organizzata al fine di perorare la medesima giusta causa, contestando le scelte discutibili dei decisori politici e provando a scuotere la coscienza comune.
Orde di studenti che inneggiano al celebre motto Dobbiamo cambiare adesso perché domani potrebbe essere troppo tardi provenienti da ogni dove sono tornati in piazza il 25 settembre per ricordare al mondo come le massicce produzioni industriali dei paesi più sviluppati stiano mettendo a repentaglio la salute del nostro ecosistema.
Responsabilità umana
Tu [Natura] sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere tue; che ora c’insidi ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti.
Leopardi, con un pensiero che brillava all’epoca di una sconvolgente attualità, torna in auge con l’eco della sua concezione di Natura distruttrice e indifferente, concezione che tuttavia non scagiona l’uomo dalle azioni riprovevoli che spesso compie.
Fino a che punto Madre Natura risulta allora imprevedibile e incontrollabile oggi, e quanto invece incide la responsabilità dell’uomo nel dipingere le sorti del nostro mondo?
Cousteau, per cui la Natura rappresentava il pane quotidiano, non a caso affermava che Non è l’uomo che deve battersi contro una natura ostile, ma è la natura indifesa che da generazioni è vittima dell’umanità.
E calza a pennello, in questo scenario, la locuzione latina Gutta cavat lapidem, perché la costanza, anche quando applicata ad azioni che possono recare conseguenze negative, produce sempre i suoi effetti.
E l’essere umano, in molti casi, ha creato nel tempo le condizioni più propizie allo svilupparsi, o intensificarsi, di noti disastri ambientali.
In che modo?
Innanzitutto, l’impatto negativo che l’inquinamento e il depauperamento ambientale causato dall’uomo produce sulla salute e sulle risorse naturali è innegabile e comprovato.
Combustione di combustibili fossili
Nonostante gli scettici attribuiscano a Madre Natura la responsabilità, la tesi secondo cui la concentrazione dei gas ad effetto serra come la CO2 stia aumentando rapidamente e sia emessa dall’uomo bruciando i combustibili fossili, è ampiamente confermata dal fisico del clima e docente universitario Antonello Pasini.
Petrolio, carbone, oli, pet coke, metano: sono proprio loro i responsabili dell’incremento, durante la combustione, di CO2 che a sua volta intrappola il calore solare accendendo la miccia di quella nota bomba chiamata effetto serra.
Come mai ci si continua ad avvalere di queste fonti di energia inquinanti e a rapido esaurimento e non si prediligono le forme rinnovabili?
Semplice.
L’energia che se ne ricava è cospicua, il relativo costo è nettamente inferiore se comparato a quello delle di fonti di energia rinnovabile e gli interessi economici e politici che trainano questo settore spesso e volentieri prevalgono su coscienza e bene comune.
Inquinamento da plastica
Sebbene la plastica sia considerata un materiale moderno, le sue origini risalgono al 1862 quando l’inglese Alexander Parkes brevetta il Parkesine, primo materiale semisintetico.
Da quel momento, la plastica nel tempo muta e viene rinnovata, affinata.
Negli anni ’60 diventa strumento essenziale della vita quotidiana, si insidia nella quotidianità delle case e fa il suo ingresso anche nella moda e nell’arte divenendo, a braccetto con la British invasion e la minigonna, uno degli emblemi che hanno caratterizzato quel periodo.
Life in plastic is fantastic cantavano gli Aqua negli anni ’90 mentre il consumo del materiale incriminato superava per la prima volta i 100 milioni di tonnellate.
L’utilizzo massivo e sconsiderato della plastica nel corso dei decenni ha prodotto effetti disastrosi sull’habitat di fauna e flora selvatica interessando suolo, laghi, oceani e aria.
Sia durante il processo di decomposizione che smaltimento del materiale incriminato viene prodotta un considerevole quantità di etilene, metano e la nota CO2.
Allevamenti intensivi
Piaga dei giorni nostri e tra le più grandi sfide contemporanee. Basti pensare che, in base a una ricerca condotta da Greenpeace Italia, gli allevamenti intensivi rappresentano la seconda causa di inquinamento da polveri sottili.
Il consumo globale di carne ha raggiunto livelli esorbitanti (ha sfiorato 340 milioni di tonnellate nel 2018, FAO Outlook, 2018) e questo ha ovviamente indotto i produttori ad aumentare il numero di bestiame allevato e ridurre al minimo gli spazi in cui tali animali alloggiano.
È comprovato dalla ricerca che, qualora l’attuale modalità di allevamento e agricoltura non subisca imminenti modifiche nella struttura, sarà inevitabile un incremento pari al 78% entro il 2050 delle emissioni di gas serra.
Se volessimo farne un discorso etico, è difficile pensare come l’immagine dei viaggi estenuanti ai quali sono costretti gli animali da allevamento e i successivi spazi infinitesimali nei quali vengono posti durante la loro breve residenza possa non smuovere la coscienza comune e scuotere l’anima, generando un’immensa malinconia e possa non indurre quindi a voler essere parte di un cambiamento.
Per produrre carne e latte in eccesso si emettono in atmosfera i gas serra.
L’accumulo di queste sostanze è provocato in varie percentuali dalla respirazione degli animali, dai relativi processi digestivi e dall’evaporazione dei gas contenuti nel letame.
In questo triste quadro, a detenere un livello elevato di responsabilità sono anche i fertilizzanti chimici impiegati ampiamente in agricoltura in sfavore del letame stesso i quali, oltre ad inquinare, inducono una predisposizione a determinate malattie.
È più che lapalissiano che una riduzione netta del consumo di carne, onde limitare i fantasmagorici effetti catastrofici di cui l’ambiente è vittima, non sia più procrastinabile.
Deforestazione
Le foreste rivestono un ruolo determinante nella loro funzione di macrofagi ambientali immagazzinando un’ingente quantità di anidride carbonica e trasformandola in ossigeno mediante la fotosintesi clorofilliana e fungendo quindi da regolatori climatici.
Quando gli alberi vengono estirpati per finalità legate alla coltivazione e all’allevamento, il carbonio viene di nuovo rilasciato nell’atmosfera.
Va da sé che questo processo non fa altro che alimentare l’effetto serra come gettare legna nel fuoco.
[wp_ad_camp_2]
Se il titolo di ombelico del mondo spetta a Cusco, capitale del potente impero Inca in Perù che secondo un’antica leggenda incarnava il centro dell’Universo e il punto di contatto tra inferno, terra e paradiso, quello di polmone del mondo appartiene convenzionalmente alla vicina Amazzonia che, con i suoi 6,7 milioni di kmq rappresenta 1/3 dell’intero sistema mondiale di foreste pluviali ed è in grado di trattiene tra 140 e i 200 miliardi di tonnellate di carbonio.
È proprio per questa ragione che l’Amazzonia costituisce uno dei soldati impegnati in prima linea nella lotta al cambiamento climatico.
Questo vasto territorio è stato nel tempo sfruttato con il disboscamento senza sosta finalizzato alle coltivazioni (soprattutto di soia), alla produzione di legname e allo stanziamento di allevamenti intensivi (responsabili per l’80% della deforestazione).
Al fine di riservare questi ampi spazi alle finalità sopra descritte, vengono appiccati incendi nella foresta amazzonica.
I gravissimi incendi che nel 2019 si sono impossessati delle prime pagine dei quotidiani non sono dovuti quindi al riscaldamento globale come erroneamente si era ipotizzato: una volta che le fiamme vengono generate volutamente per mano umana ai fini di disboscamento, il clima secco diventa complice e favorisce il diffondersi del fuoco.
Ne conseguono danni alla biodiversità e come si è visto, l’aumento dei gas serra.
Piccoli passi per grandi conquiste
È evidente come la febbre del nostro pianeta si sia cronicizzata ed è pleonastico piangere sul latte versato anziché attuare azioni produttive che possano arginare questo incontrollabile fiume in piena.
Sono innumerevoli le attenzioni e gli accorgimenti che si possono adottare: dalle semplici e strasentite condotte proattive come utilizzare l’acqua corrente con maggiore attenzione, attuare la raccolta differenziata, cercare di prediligere lampadine ed elettrodomestici a risparmio energetico fino allo spostarsi in bicicletta quando possibile (tra l’altro ottimo espediente per mantenersi in forma) impedendo alle automobili di continuare a perpetrare crimini a danno dell’ambiente.
Le fonti energetiche rinnovabili dovrebbero diventare quindi le uniche ad essere impiegate e nonostante l’ostacolo dei costi, si stanno facendo passi in avanti per rendere obbligatorie le stazioni di ricarica al fine di sostenere la crescita dei veicoli elettrici.
Attivismo ambientalista
Diversi movimenti sono nati con l’obiettivo di porgere la guancia alla nostra Terra, tra questi il Movimento per la Decrescita Felice di Serge Latoche e Maurizio Pallante propone di riconcepire il mondo in una chiave di sostenibilità: una concretizzazione del filosofico rinunciare al superfluo anteponendo l’ambiente e la qualità di vita all’idea di spasmodica crescita economica.
In questo caso, il termine decrescita poco ha a che vedere con una recessione, bensì, laddove ne risulti una diminuzione di inquinamento, costi, depauperamento delle risorse e di rifiuti, va a prediligere l’autoproduzione e l’esaltazione della qualità rispetto alla quantità consumistica.
Secondo la FAO le emissioni di gas serra devono essere dimezzate al più presto ed è necessario ridurre drasticamente il numero degli allevamenti intensivi e il consumo di prodotti d’origine animale.
A paladini di questa filosofia, si sono erti i fautori del Movimento Riducetariano che propongono una soluzione diplomatica mild e più pedagogica abbracciabile da chiunque, non proclamando infatti il “tutto o niente”, ma promuovendo piccoli cambiamenti nel comportamento di ciascuno che collettivamente possono apportare una grande differenza nel mondo: ridurre (non eliminare totalmente) la quantità di carni e derivati animali nella propria dieta per salvaguardare la propria salute e il pianeta e risparmiare agli animali d’allevamento tante inutili sofferenze.
L’unione fa la forza
La chiave è quindi un impegno condiviso e propositivo che si dovrebbe mettere in atto poiché, senza arginare i macroscopici problemi ambientali non sarà possibile occuparsi di qualsiasi altra questione.
E poiché Nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto la coscienza comune dovrebbe insegnarci a non fare orecchie da mercante e collaborare per rendere la Terra quell’Eden tanto agognato. In fondo, nonostante il falso progresso ha voluto provare una bomba, poi pioggia che toglie la sete alla terra che è viva invece le porta la morte perché è radioattiva il vento della speranza soffia ancora…
[wp_ad_camp_5]