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venerdì, Giugno 20, 2025
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Recovery Fund: in arrivo la grande abbuffata

Il Recovery Fund, proprio come nel capolavoro di Marco Ferreri, La grande abbuffata, potrebbe rivelarsi un kammerspiel sulla morte figurata di una generazione politica per eccesso di materialistico soddisfacimento dei sensi.

La grande abbuffata del Recovery Fund

A quanto pare, sarebbero in arrivo i soldi del Recovery Fund. Il condizionale, come si suol dire, è d’obbligo.

Numerosi sono stati, finora, i colpi di scena di questa avvincente soap opera e altri non se ne possono escludere. Qualora, per esempio, un Lussemburgo decidesse di gettare sul tavolo tutta la sua influenza politica e soprattutto strategica.

Si tratta, comunque, di circa 200 miliardi. Somma enorme, in tempi di vacche magre, ma che in epoche precedenti sarebbe stata subito adoperata per il sospirato sviluppo. Giusto il tempo di regolarizzarne la capillare distribuzione e poi via, senza altri indugi, ad ampliare il porto di Avellino.

Roba d’altri tempi, si capisce.

Mancano i leader di alta statura e nobile disinteresse. Capaci di battere il pugno sul tavolo e irrigare il territorio con opere di varia grandezza e ancor più disomogenea utilità, ma comunque pregne di significato e foriere di contenziosi legali.

Come dimenticare gli 1 virgola 3 milioni di euro spesi per ammodernare l’asilo di Montecchio Maggiore (Vi) senza per altro completarlo? O l’ospedale di San Bartolomeo in Galdo (BN) che langue incompiuto da ben 58 anni, per il quale è stato comunque bandito ed espletato un concorso di 90 posti, tra medici, infermieri e amministrativi?

Recovery Fund: in arrivo la grande abbuffata

Recovery Fund: saprà l’attuale leadership essere all’altezza dei fasti del passato?

È più che lecito dubitarne. Se un singolo exploit è pur sempre ripetibile, difficile che si riesca a tessere la necessaria trama di superflue e indifferibili necessità, in grado di impegnare una simile montagna di denaro.

200 miliardi di euro equivalgono a 400mila miliardi di lire. Roba in grado di far tremare le vene dei polsi a un Fanfani. Di scuotere un De Mita dal suo leggendario disinteresse per i pubblici appalti. Di turbare financo un Craxi, distogliendolo dai cimeli garibaldini, per buttare un occhio sul manuale Cencelli.

Iniziamo pure a singhiozzare sul latte versato.

Personaggi di quel calibro e risma non ne nascono più. E anche quando nascessero, mancherebbe una classe burocratica atta a sostenerne i lungimiranti appetiti e le fameliche visioni.

A tutt’oggi, dei 44 miliardi di fondi europei per lo sviluppo, elargiti all’Italia nel periodo 2014-2020, ne sono stati impiegati solo 18.

Distribuiti però su quasi 600mila progetti, per un ammontare medio di circa 30mila euro l’uno.

Cifre da rendiconto condominiale e sola gestibile dimensione, per una classe dirigente trasmigrata d’incanto dal consiglio di quartiere a quello dei ministri.

Occorre quindi muovere alla severa Europa un’altra lacrimosa preghiera.

200 miliardi sono troppi. Si rischia l’indigestione.

Ce li mandassero a 30mila euro per volta. In contanti, possibilmente. E qualche cosa si farà.

 

La grande abbuffata – Fame

 

 

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