La Russia non può fare a meno della Bielorussia, ma non è detto che Putin non possa fare a meno di Lukashenko.
Perchè la Russia non può fare a meno della Bielorussia?
Da un punto di vista occidentale la pretesa russa di influenzare la vita dei suoi vicini appare intollerabile. La politica di Vladimir Putin ha portato la Russia a una guerra aperta contro la Georgia, una guerra per procura con l’Ucraina, minacce varie e assortite a baltici e polacchi e un’ingerenza diretta nelle vicende interne della Bielorussia, nonché un perenne ricatto nei confronti dell’intera Europa per la fornitura di gas.
Naturalmente questo è solo una delle possibili letture, tanto parziale da sorvolare sul fatto che anche americani ed europei hanno ingerito più del dovuto “negli affari interni di altri Stati”, come si usava dire una volta nelle frasi protocollate della diplomazia internazionale.
È vero comunque che i russi mostrano una maniacale attenzione verso tutto quello che capita a ovest delle loro frontiere. Non è però una foga imperialista del momento, ma una consolidata tradizione che travalica epoche e regimi politici. Dagli zar ai bolscevichi fino alla democrazia autoritaria di Putin, il rapporto con l’Occidente è il nodo principale della politica russa.

Fu lo zar Pietro il Grande a decidere che la Russia, fino ad allora sospesa tra est e ovest, dovesse diventare un paese europeo. Viaggiò per l’Occidente, talvolta in incognito, e tornò in Russia con un piano ambizioso: trasformare i russi in europei. Lo perseguì a suo modo, con improvvise stranezze: gli capitava per esempio di sforbiciare personalmente le barbe dei sudditi che incontrava, volendoli ben rasati alla maniera occidentale.
Al di là degli aspetti originali, comuni a quei tempi nelle aristocrazie europee dove la tradizione endogamica dava alla luce spesso individui bizzarri, e di qualche vicenda più macabra (lo zar fece torturare a morte il figlio Alessio); però il compito riuscì e da quel momento iniziò il rapporto ambivalente di amore-odio con l’Europa.
Le invasioni
Con un occhio alla storia e l’altro alla geografia politica si capisce agevolmente il perché di questa conflittualità. Già prima di Pietro la Russia era stata invasa dai polacchi. Con Pietro arrivarono gli svedesi di Carlo XII.
Più famose sono le due successive invasioni: quella di Napoleone Bonaparte e quella della Germania nazista (in mezzo, i tedeschi sconfinarono anche durante la prima guerra mondiale). Nel complesso il bilancio è di decine di milioni di morti, città rase al suolo e una lunghissima scia di violenze, carestie, distruzioni generalizzate ed esecuzioni di massa che è rimasta ben impressa nella memoria dei russi.
L’ossessione dei confini
Nessun governante russo ha mai dimenticato una cosa semplice e chiara: il punto debole della Russia sono i suoi confini occidentali. Dal nord artico la Russia non può essere invasa. A est è protetta dalla sconfinata Siberia e un’invasione militare non è sostenibile perché sarebbe impossibile supportare le linee di rifornimento.
A sud ci sono le steppe dei vari –Stan, l’amica Armenia e la Georgia tenuta a bada con due robuste minoranze filorusse dentro i suoi confini. E soprattutto il montuoso Caucaso: anche per questo la Russia ha represso violentemente l’insurrezione cecena. Rimane l’ovest.
Lì la grande pianura nordeuropea che parte dalla Francia, passa per la Germania e poi si allarga in Polonia, Ucraina, Bielorussia e paesi baltici è l’unica strada d’accesso possibile.
Alle molteplici invasioni subite, la Russia è riuscita a sopravvivere solo grazie ad una peculiarità nazionale forse condivisa al mondo solo con i cinesi: la capacità del suo popolo di sopportare perdite, privazioni e sofferenze oltre ogni umano limite.
Almeno fino alla liberazione di Stalingrado, per esempio, la tattica sovietica per rallentare l’avanzata della Wermacht fu abbastanza elementare: mandare avanti ondate ininterrotte di soldati sperando che ogni cento morti ce ne fossero almeno uno o due tedeschi. Per chi fuggiva o solo dubitava, dietro le linee erano pronte le mitragliatrici dell’NKVD (poi KGB).
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L’occidente a due facce
Per i russi dunque l’Occidente è quasi una metafora: lì ci sono molte opportunità, ma da lì verranno i pericoli. I confini vanno difesi. Gli unici che non hanno applicato questa regola sono stati Lenin e Eltsin.
Il primo lo fece regalando terre su terre per strappare ai tedeschi una pace urgente e funzionale al consolidamento dello Stato sovietico (e, secondo storici meno benevoli, anche per pagare un vecchio debito con la Germania).
Il secondo perché a capo di uno Stato a pezzi, di un paese devastato e probabilmente anche perché più interessato ai piaceri della vodka che alle noiose questioni geopolitiche. Ma sono state delle eccezioni.
Alla luce del costo umano pagato nel corso della storia, l’esigenza della Russia di proteggersi a ovest supera la semplicistica interpretazione di banale imperialismo.
Dal canto loro gli occidentali negli anni Novanta hanno ignorato questa necessità quasi fisiologica, in un accesso di superbia e di volontà di mortificare il vecchio nemico.
Ora, è anche comprensibile che polacchi, lituani, cechi e compagnia non volessero fare gli Stati cuscinetto e vedessero nel crollo sovietico una comoda opportunità per proteggersi stabilmente sotto l’ombrello americano. Ma non è mai neanche stato fatto nessun tentativo di compensare e equilibrare i diversi interessi, tutti formalmente legittimi.

L’allargamento della Nato
Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila la Nato inizia a inglobare quasi tutti gli ex paesi dell’Europa orientale: in altre parole, i russi si trovano gli americani sull’uscio di casa.
Incidentalmente, fu anche la grande vittoria degli Stati Uniti sull’Europa: l’allargamento della Nato si accompagnò a quello dell’Unione Europea, con tutti i problemi che ne sono conseguiti e che hanno eliminato alla radice qualsiasi ipotesi di unità politica europea che avrebbe inevitabilmente marginalizzato gli americani.
La Nato era fino agli anni Novanta un’alleanza militare difensiva. Creata, come disse il suo primo segretario Lord Hastings Ismay, “per tenere i russi fuori [dall’Europa], gli americani dentro e i tedeschi sotto [cioè controllati e resi incapaci di fare ulteriori danni]”. A un certo punto però è divenuta qualcosa di diverso.
La crisi in Jugoslavia
Nel 1999 la Nato attacca la Jugoslavia, nella guerra del Kosovo. Una guerra non legittimata dalle Nazioni Unite, e quindi puramente aggressiva. Dunque, proprio poco prima della salita al potere di Putin, la Russia si ritrova non solo la Nato a ridosso dei propri confini, ma una Nato che si è ormai autolegittimata a compiere anche azioni offensive e non solo difensive. Si bombarda Belgrado (anche) perché Mosca intenda.
Per la classe politica russa diventa sempre più decisivo allora fermare gli occidentali. I paesi dell’ex patto di Varsavia sono le ultime cartucce, oltre gli Stati Uniti non possono andare.
La Georgia viene invasa, l’Ucraina divisa a metà per difendere la preziosa Crimea (un’altra delle esigenze imprescindibili dei russi è sempre stata quella di avere accesso a mari tiepidi e navigabili; ecco perché i continui conflitti con i turchi e, in tempi più recenti, il sostegno ad Assad in Siria dove i russi hanno da sempre una base navale mediterranea a Tartus). E ora la linea rossa della Bielorussia, che ha un legame fortissimo con la Russia.
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Il lungo abbraccio: la Russia non può fare a meno della Bielorussia
I bielorussi sono fondamentalmente russi. Durante la seconda guerra mondiale centinaia di migliaia di partigiani si opposero all’occupazione nazista. Fu l’unica repubblica sovietica sotto occupazione a combattere in massa i tedeschi.
Altre, come l’Ucraina martoriata dalla brutalità della politica agricola comunista e dalle purghe staliniane, almeno inizialmente accolsero i tedeschi come liberatori.
Lukashenko è un vassallo, ultimamente neanche troppo fedele a Putin, ma a monte c’è un’esigenza più profonda: è irrealistico pensare che la Bielorussia possa essere governata in modo non concordato con Mosca. O comunque è irrealistico non aspettarsi una reazione russa. Equivarrebbe a trapiantare un governo antiamericano, e magari alleato con la Russia o la Cina, in Messico o in Canada.

La storia non consente profezie, ma rimpianti sì. In altri tempi si sarebbe potuto venire incontro alle necessità russe senza per questo abbandonare gli est europei alla miserevole condizione di protettorato o Stati marionetta, esperienza che peraltro hanno già vissuto per circa cinquant’anni, costruendo un sistema di garanzie di neutralità che dal nord baltico fosse arrivato fino al Mar Nero.
L’arroganza occidentale ha preferito umiliare la Russia in ginocchio di allora, dimenticando che ogni volta che la Russia si è trovata in ginocchio si è sempre rialzata (salvo, molto spesso, ricadere fragorosamente). Il rancore e la volontà di rivalsa russi hanno fatto il resto.
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