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Traffico illegale di armi verso Israele scoperto al porto di Ravenna: Italia complice dei massacri

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Il Tribunale del Riesame di Ravenna ha confermato il sequestro di 14 tonnellate di componenti bellici destinati a Israele e prodotti da Valforge (Lecco), privi di licenza. Il carico era diretto a IMI Systems, leader dell’industria militare israeliana.

Traffico illegale di armi verso Israele scoperto al porto di Ravenna: sequestrate 14 tonnellate di forniture militari

Un’operazione giudiziaria di rilievo ha portato alla luce un traffico illecito di armamenti diretti in Israele attraverso il porto di Ravenna.

La Corte d’Appello italiana ha confermato il sequestro di un carico contenente 14 tonnellate di componenti militari, prodotti dall’azienda Valforge di Lecco, destinati alla società israeliana IMI Systems Ltd., filiale della nota impresa bellica Elbit Systems.

Il provvedimento, emesso in seguito a un’attenta analisi dei documenti doganali, ha fatto emergere l’assenza delle necessarie licenze di esportazione. Il carico sequestrato consisteva in circa 800 pezzi metallici – identificati come componenti per cannoni – classificati a tutti gli effetti come materiale d’armamento secondo la normativa italiana ed europea in materia.

Un sistema di spedizioni ricorrenti*

Secondo quanto emerso dalla sentenza della Corte d’Appello, la spedizione bloccata non è un caso isolato. Sono state infatti individuate altre quattro spedizioni analoghe effettuate nel corso del 2024 dalla stessa Valforge alla Ashot Ashkelon Industries, società controllata da IMI Systems. Ashot Ashkelon, negli ultimi anni, ha beneficiato di un’impennata del proprio valore azionario – si parla di un +250% – grazie a una serie di contratti stipulati con il Ministero della Difesa israeliano, proprio nel contesto della guerra contro la popolazione palestinese.

Violazioni della legge italiana

L’esportazione di armi da parte dell’Italia è regolata dalla Legge 185/1990, che pone limiti stringenti in materia di trasferimenti bellici. In particolare, la norma vieta l’invio di materiale militare verso Paesi:

  • in stato di conflitto armato;
  • i cui governi siano riconosciuti responsabili di gravi violazioni dei diritti umani da parte di organi ufficiali delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea o del Consiglio d’Europa.

Alla luce del prolungato assedio militare condotto da Israele nei territori palestinesi, accompagnato da pesanti accuse di crimini di guerra e apartheid, la destinazione finale di questo carico rappresenta una grave infrazione alla normativa vigente.

Nel frattempo, emerge il coinvolgimento indiretto di aziende legate al settore della sicurezza informatica israeliana. Tra queste, Radiflow, attiva anche in ambito europeo, i cui vertici aziendali provengono direttamente da reparti specializzati delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), tra cui la nota Unità 8200 – un reparto d’élite dell’intelligence militare israeliana con competenze nel cyberwarfare.

Pressioni per un embargo militare

L’episodio ha rilanciato l’appello della società civile italiana e di numerose ONG internazionali per l’imposizione di un embargo militare totale nei confronti di Israele.

Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha più volte richiesto formalmente ai suoi membri di adottare misure restrittive contro le esportazioni di armi verso Tel Aviv, e oltre 50 Paesi hanno già aderito, almeno parzialmente, a questa linea.

Le organizzazioni firmatarie di questo appello sottolineano come un embargo non sia solo un imperativo morale, ma anche un obbligo legale derivante dalle convenzioni internazionali che regolano il commercio di armi in situazioni di conflitto e violazione dei diritti umani.

La richiesta al governo italiano

Alla luce dei fatti, cresce la pressione sul governo italiano affinché prenda una posizione chiara e netta. Le richieste principali sono:

  • il blocco immediato di ogni trasferimento militare da o verso Israele;
  • la chiusura dei porti e degli aeroporti italiani a carichi bellici destinati all’industria militare israeliana;
  • la cessazione di ogni collaborazione industriale tra aziende italiane e quelle legate all’apparato militare israeliano.

Secondo i promotori dell’iniziativa (BDS Italia, PaP, Weapon Watch, Arci, Cigl, Cisl, Uil, RdC, Osa), solo una vigilanza attiva e popolare può garantire che l’Italia non diventi complice – anche indirettamente – delle operazioni militari israeliane nei territori occupati.

*Rettifica (Aggiornameno del 7 maggio 2025)

Nella prima stesura dell’articolo veniva erroneamente citata la società Itway s.p.a. come responsabile della sicurezza e del controllo del traffico di armi e\o loro componenti in transito nel porto di Ravenna, sottolineandone il mancato intervento.

L’informazione è errata, la Itway non svolge alcun ruolo di movimentazione controllo merci nel porto di Ravenna, ne tantomeno di controllo su armi. Ci scusiamo con la società coinvolta e con i lettori per l’errore.

 

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