Indagine a Milano, il caso che coinvolge Attilio Fontana si sta allargando: l’affare di famiglia sui camici per la Regione è zeppo di incongruenze ed omissioni.
Attilio Fontana, l’indagine si allarga
Probabilmente Attilio Fontana si aspettava un percorso più quieto, forte della tradizione lumbard che avrebbe dovuto garantirgli una serena gestione della ricca e operosa regione da lui presieduta.
Aveva con se il vento in poppa del lanciatissimo Matteo Salvini che, al netto della sbronza post Papeete dell’estate 2019, resta(va) ancora il leader del partito di maggioranza relativa in tutti i sondaggi.
E invece questo 2020 sta sovvertendo ogni prospettiva con le sue calamità e incongruenze post Covid: l’inchiesta sui camici donati alla Lombardia con Fontana indagato e nel mirino dei pm è entrata anche l’eredità della madre da 5,3 milioni, custoditi in due trust alle Bahamas.
Fontana piange
Il Presidente della Regione, nel mirino per l’ordine di versamento da 250 mila euro, poi revocato, diretto da un suo conto in Svizzera al cognato, commenta così:
Questa storia è pazzesca. Ma qual è il reato? Di solito le persone finiscono indagate perché prendono dei soldi illecitamente. Io invece rischio di passare alla storia come il primo politico che viene indagato perché i soldi ha cercato di versarli.
Fontana rilancia
Non è un caso infatti che la Ragione abbia avuto i camici dal cognato del leghista senza sborsare un euro, completamente gratis, spiega il Presidente in un intervista a La stampa:
Quei soldi li consideravo una donazione a mio modo. L’unico reato che vedo veramente è una palese violazione del segreto istruttorio e per questo probabilmente mi rivolgerò ai magistrati di Brescia.
Fontana trema
L’inchiesta si sta allargando: le ricostruzioni giornalistiche della vicenda (Corriere e Report) trovano riscontro nella procura: la versione di Fontana non corrisponde ai fatti.
Ai guai giudiziari si aggiunge il fuco incrociato della politica. La nota del capogruppo alla regione dei 5stelle, Massimo De Rosa è eloquente:
Basta annunci, basta dichiarazioni mezzo stampa, basta bugie, all’istituzione che rappresenta e ai cittadini Fontana deve rendere conto. Dalle mascherine pannolino ai test sierologici, senza dimenticare l’ospedale in fiera. Fino al caso camici per il quale è indagato, sono tante le risposte che il governatore deve ai lombardi. A cominciare dal motivo per il quale l’assessore Gallera sia ancora al suo posto. Le persone il cui fallimento oggi è diventato cronaca e materiale da procura, non possono essere le stesse che dovranno guidare la ripartenza della nostra Regione. Gestire le risorse che arriveranno grazie al recovery fund e garantire la nostra salute in vista del prossimo autunno. Serve un atto politico coraggioso per la storia che stiamo andando a costruire.
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Affari di famiglia: di cosa è accusato Fontana?
Il presidente della Regione è accusato di frode in pubbliche forniture per la storia dei camici forniti alla Lombardia dall’azienda di suo cognato Andrea Dini, durante la fase acuta dell’epidemia da coronavirus.
A differenza di quanto ha sempre sostenuto, sembra sapesse degli affari in corso tra la Regione e l’azienda di suo cognato.
Insieme a lui sono indagati anche Andrea Dini, e il direttore generale di Aria, la centrale acquisti della Lombardia, Filippo Bongiovanni.
Il 16 aprile Aria assegnò una fornitura per camici e altri dispositivi di protezione a Dama S.p.A., società di proprietà di Andrea Dini e, per il 10 per cento, di Roberta Dini, moglie di Fontana. La fornitura era stimata per un valore di 513mila euro.
A mettere in luce tutte le anomalie di questa storia ci hanno pensato le inchieste del quotidiano Il Fatto Quotidiano e quella di Report.
L’indagine dei media su Attilio Fontana
In particolare il programma di Rai Tre aveva scoperto che Il 20 maggio, più di un mese dopo l’assegnazione della fornitura, Dini aveva scritto una mail al direttore di Aria, Bongiovanni, spiegandogli di aver deciso di trasformare la vendita in una donazione.
Report aveva trovato le note di credito sull’annullamento delle fatture per i camici, emesse tra il 22 e il 28 maggio, ma che riguardavano un valore complessivo di 359mila euro sui 513mila della fornitura. E gli altri?
Dini in un intervista aveva spiegato che la vendita dei camici alla Regione era stata decisa in un periodo in cui lui non si trovava in azienda. Al suo ritorno aveva subito deciso di annullare tutto perché era sua intenzione donare quei camici.
Fontana, il 7 giugno, aveva invece dichiarato che la fattura di 513mila euro era stata un errore dovuto a un «automatismo burocratico» e di aver saputo della fornitura molto dopo, senza essere mai intervenuto nella faccenda.
L’inchiesta del Corsera smentisce questa versione. Fontana era stato informato da un suo collaboratore della fornitura e prima che Dini scrivesse ad Aria dicendo di voler trasformare la vendita in donazione, cercò di fare un bonifico di 250.000 euro da un suo conto personale a Dama S.p.A.
Secondo il giornale, fu un tentativo di risarcire Dini per i mancati guadagni dei camici.
Il bonifico sarebbe arrivato da un conto in Svizzera in cui erano stati confluiti con lo “scudo fiscale” 5 milioni e 300 mila euro che fino al 2015 erano conservati alle Bahamas con due trust intestati alla madre di Fontana.
L’operazione fu sospesa per sospetta violazione della normativa antiriciclaggio e segnalato alla Banca d’Italia.
Ultima anomalia: Dini provò a rivendere una parte dei camici mai consegnati alla regione, circa 30mila sugli oltre 80mila previsti. Si mise in contatto tramite un intermediario con una Rsa di Varese proponendo un prezzo più alto di quello concordato con la Regione, ovvero 9 euro a pezzo invece di 6.
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