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Per mettersi nel cammino di sviluppo di una possibile forma di democrazia politica occorrono almeno cinque cose: tempo, formazione, informazione, distribuzione, dibattito.
La salute della democrazia
La democrazia è una forma di autogoverno delle comunità impegnate nella gestione delle decisioni politiche, ovvero di tutte quelle questioni che riguardano l’organizzazione della vita associata.
Si tratta di un ideale, di un concetto-asintoto verso cui tendere indefinitamente, pur nella consapevolezza che non potrà mai realizzarsi pienamente. Ciononostante, il movimento verso tale orizzonte consente di raggiungere gradi progressivi e cumulativi di approssimazione.
Il termine fu coniato nell’Atene classica, e da allora si sono susseguiti tentativi sporadici di attuazione che, tuttavia, non hanno mai prodotto esiti stabili o duraturi. Forse l’esperienza che più si è avvicinata a una forma embrionale di democrazia si è verificata in Occidente nel secondo dopoguerra. Anche in quel caso, però, il livello raggiunto, per quanto superiore rispetto al passato, è rimasto lontano dal modello teorico.
Quanto alla sua storia, vi sono almeno tre aspetti fondamentali da sottolineare. In primo luogo, la democrazia non è un’esclusiva della cultura occidentale, ma una forma che esprime una vocazione universale.
In secondo luogo, ciò che ci è stato trasmesso del mondo greco riguarda in gran parte Atene, ma nel periodo classico esistevano decine di altre democrazie nel mondo ellenico, ciascuna con proprie peculiarità e sperimentazioni.
Il terzo aspetto da considerare riguarda una distorsione radicata nella nostra tradizione di pensiero: l’idea che la democrazia sia stata un’invenzione dei Greci. In realtà, la forma ateniese fu l’ultima manifestazione di un’esperienza democratica che vantava una storia molto più antica.
Un elemento ricorrente nella storia delle democrazie è la correlazione inversa tra la dimensione del gruppo umano e la possibilità concreta di dar vita a un’autentica esperienza democratica.
Le forme più riuscite di democrazia si sono infatti sviluppate in contesti politici di scala contenuta. Ciò spiega perché, prima dell’Atene classica, si riscontrino esempi più numerosi e variegati di organizzazioni democratiche: procedendo a ritroso nel tempo, si incontrano comunità politiche di dimensioni ridotte, dove la partecipazione diretta era più agevole. Non è un caso che il modello greco fu uno degli ultimi fondati sulla struttura della città-Stato.
Esperienze simili, sebbene con esiti differenti, si sono avute anche in epoche successive: si pensi all’Italia dei Comuni, alle prime Province Unite, alla Lega Anseatica o, ancora, alle forme ultra-federative come quella svizzera.
Un passaggio problematico della storia politica europea si verifica quando, nel corso della modernità, si adotta il sistema della rappresentanza delegata basata su un’elettorato ancora molto ristretto, e lo si comincia a qualificare come “democrazia”. La compatibilità tra tale parlamentarismo liberale e il concetto originario di democrazia è quantomeno discutibile.
L’elezione del rappresentante, del resto, fu a lungo un meccanismo tipico dei sistemi aristocratici, privi di carattere democratico. Nei contesti autenticamente democratici, invece, la prassi prevedeva l’estrazione a sorte da una lista di cittadini selezionati, con incarichi a termine, obbligo di rendiconto finale e divieto di immediata rieleggibilità.
Tralasciamo, per il momento, i pur rilevanti dettagli tecnici relativi ai complessi meccanismi del funzionamento democratico. Basti pensare che la sola descrizione dell’apparato statale ateniese — relativo a una polis composta da alcune decine di migliaia di cittadini in un contesto storico significativamente più semplice del nostro — richiede pagine e pagine di analisi, come testimonia la Costituzione degli Ateniesi attribuita alla scuola aristotelica.
È bene ricordare, inoltre, che quella ateniese rappresenta soltanto una tra le possibili forme di democrazia. Per questo motivo, è opportuno sospendere momentaneamente il protagonismo dei giuristi: essi dovrebbero intervenire non come fondatori del concetto democratico, ma a posteriori, quando una materia viva e dinamica dal punto di vista culturale richiede una strutturazione funzionale. La democrazia, infatti, non nasce da schemi giuridici astratti, ma dalla prassi sociale e politica.
Veniamo ora all’essenza funzionale della democrazia. Per intraprendere un autentico percorso di sviluppo democratico sono necessari, almeno, cinque fattori. Il primo, e più importante, è il tempo, da intendersi in due sensi.
Il primo significato è di ordine generale: la democrazia non è uno stato meccanico, non si attiva con un semplice “interruttore”. È un processo, un cammino fatto di sperimentazioni, correzioni, stratificazioni progressive, mai definitivamente concluso.
Il secondo significato è più sostanziale: la democrazia presuppone cittadini capaci di formarsi un’opinione consapevole sui problemi collettivi e sulle possibili soluzioni, attraverso lo studio e il confronto con i propri simili. La politica, intesa come attività primaria della convivenza umana, richiede tempo. E se manca un tempo adeguato da dedicare al ruolo civico, la democrazia diventa impossibile. Il cittadino è, in questo senso, un socio naturale della società.
Ne deriva un’esigenza imprescindibile: allargare lo spazio temporale disponibile per la partecipazione politica, riducendo quello assorbito dal lavoro. L’attuale modello centrato sul cittadino-consumatore-produttore, infatti, esclude per principio la possibilità di un’autentica esperienza democratica.
In secondo luogo, è essenziale garantire a tutti un’adeguata formazione. Questa deve comprendere sia un solido bagaglio culturale generale, sia una preparazione specifica relativa ai temi dell’attività politica.
Ma se la formazione rappresenta la condizione necessaria per il pensiero politico, l’informazione ne costituisce il nutrimento continuo. La politica — che include anche dimensioni sociali, economiche, finanziarie, geopolitiche e culturali — è in costante evoluzione, e l’informazione consente ai cittadini di coglierne gli sviluppi e le implicazioni.
Una formazione priva di informazione diventa sterile dogmatismo; un’informazione priva di formazione genera solo confusione. La democrazia richiede entrambe, in equilibrio e in dialogo costante.
Il quarto elemento imprescindibile è la distribuzione. L’attività politica di una comunità è il risultato dell’agire politico dei singoli. Se non si persegue una diffusione equilibrata e generalizzata della partecipazione — orientata al principio dei “Molti” — si riprodurrà, inevitabilmente, una qualche forma di oligarchia. Tale squilibrio si rifletterà poi anche nella struttura operativa del potere. È proprio per questa ragione che, in ogni tentativo storico — per quanto sporadico o contraddittorio — di avvicinarsi a una forma di democrazia, si è sempre accompagnato uno sforzo per estendere l’accesso all’istruzione. La democrazia esige un livello elevato e diffuso di conoscenza del mondo.
Il quinto fattore è il dibattito. Formazione, informazione e distribuzione della partecipazione dipendono tutte dal dialogo interpersonale e collettivo, grazie al quale si mescolano saperi, si arricchiscono prospettive, si generano nuove idee. Il confronto produce, in molti casi, un risultato che supera la somma delle singole parti: un sapere condiviso, più profondo e articolato.
Come si evince da questa sintesi, tutti questi elementi — formazione, informazione, distribuzione e dibattito — trovano il loro fondamento e la loro possibilità di esistenza nel primo requisito: il tempo. Senza tempo a disposizione, ogni altro fattore diventa inaccessibile.
Se accettiamo l’idea che la democrazia non sia uno stato raggiunto una volta per tutte, ma un processo orientato verso un ideale regolativo, allora essa deve tradursi in azione politica concreta. Battersi per la riduzione dell’orario lavorativo a parità di salario, al fine di liberare tempo per la partecipazione civica. Promuovere una formazione culturale adeguata e continua, sia in ambito formale (scuola, istruzione) che informale (diffusione culturale nella società). Rivendicare un’informazione pluralista, reale e accessibile, che oggi — è bene ammetterlo — è ben lontana dall’essere garantita.
Occorre lottare per equalizzare le condizioni di base che rendono possibile la partecipazione democratica, poiché è proprio dallo “stato medio” della società che dipenderà il livello complessivo di democrazia. Riportare al centro il “politico”: l’assemblea, il confronto pubblico, lo scambio di idee tra individui.
Solo così si può dire di tendere realmente verso una forma democratica. Tutto il resto, al di là delle apparenze, resta una variante di oligarchia, come accade sin dalle origini delle civiltà. Che si presenti in forma etnica, militare, religiosa, aristocratica, capitalistica o paternalistica — anche nella versione delle avanguardie illuminate che si arrogano il diritto di decidere per il popolo “ciò che è bene” — si tratta sempre e comunque di un potere concentrato in pochi.
Si potranno passare anni a discutere se sia preferibile un’economia basata sulla crescita o sulla decrescita, sul profitto individuale o sul bene collettivo, sull’appartenenza o meno a un’alleanza militare, su modelli sociali progressisti o conservatori, egualitari o gerarchici, orientati al consumo sfrenato o alla sostenibilità.
Tuttavia, nessuna di queste scelte sarà veramente democratica, fino a quando non ci si impegnerà concretamente per costruire una società in cammino verso la democratizzazione effettiva.
La democrazia, in fondo, è semplicemente un metodo: decidere insieme, in gruppo, le questioni che riguardano il gruppo. Cosa sarà deciso, lo deciderà la democrazia stessa. Il nostro compito è solo — ma anche interamente — quello di renderla possibile. In caso contrario, tutte le idee, le convinzioni e le preferenze individuali resteranno parole al vento.
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