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La barbarie israeliana nella Striscia di Gaza: un crimine sotto gli occhi del mondo

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L’aggressione israeliana in corso nella Striscia di Gaza ha superato da tempo i confini della guerra convenzionale, assumendo contorni sempre più simili a un’operazione sistematica di annientamento. Le notizie che riescono a filtrare dall’enclave palestinese, nonostante l’isolamento mediatico e i numerosi attacchi a giornalisti e operatori umanitari, delineano un quadro che non può essere ignorato: si tratta di una catastrofe umanitaria di proporzioni colossali, aggravata da una violenza che molti osservatori non esitano a definire genocida.

L’inferno a cielo aperto: la Striscia di Gaza tra fame, esodo e distruzione

Dall’interruzione dell’ultima tregua, l’offensiva dell’esercito israeliano si è intensificata con una brutalità che non fa distinzione tra combattenti e civili. Le cifre parlano da sole: oltre 50.000 morti, centinaia di migliaia di feriti e quasi due milioni di sfollati, forzati a fuggire dalle proprie abitazioni per rifugiarsi in “zone umanitarie” che spesso diventano bersagli militari. La fame, la sete e la mancanza di cure si sono trasformate in strumenti di guerra.

L’accesso degli aiuti umanitari è bloccato da settimane, lasciando la popolazione a vivere tra le rovine, senza cibo né acqua potabile. Le panetterie sono scomparse, le famiglie sopravvivono nutrendosi di alimenti per animali e bevendo acqua contaminata. Gli ospedali sono ridotti in macerie, le ambulanze distrutte, e le vittime si contano a decine ogni giorno.

La direttrice della ONG Airwars ha denunciato come l’intensità dei bombardamenti non abbia precedenti da ottobre 2023, colpendo scuole, rifugi e case di civili senza preavviso.

A Rafah, nel sud della Striscia, le forze israeliane hanno creato nuovi “corridoi militari”, obbligando la popolazione a un esodo forzato sotto le bombe.

Pulizia etnica e crimini di guerra: la denuncia internazionale

Secondo numerosi analisti e ONG, ciò che si sta compiendo a Gaza non può più essere descritto con la retorica della legittima difesa o della risposta militare. Si tratta di una pulizia etnica organizzata, un’operazione sistematica volta a svuotare la Striscia della sua popolazione.

Il bombardamento sistematico delle infrastrutture civili, il massacro dei soccorritori, l’uccisione di giornalisti e l’uso della fame come arma costituiscono gravi violazioni del diritto internazionale umanitario.

Il caso di Rifaat Radwan, giovane soccorritore palestinese, morto dissanguato mentre cercava di salvare vite umane, è emblematico: colpito dai militari israeliani insieme ad altri 14 operatori sanitari, è stato ritrovato in una fossa comune, con le mani legate, la radio ancora in mano, i guanti macchiati di sangue. Questo episodio, documentato anche dal New York Times, è solo uno tra i tanti.

La quarta Convenzione di Ginevra protegge gli ospedali, gli operatori sanitari e i civili in tempo di guerra. Tuttavia, secondo Haaretz, oltre 1.000 tra medici e infermieri sono stati uccisi dall’inizio delle ostilità. Il sistema sanitario è crollato. Le immagini che giungono dagli ospedali mostrano bambini agonizzanti su pavimenti insanguinati, feriti abbandonati, dottori impotenti. “Questo non è un conflitto”, ha dichiarato Jonathan Whittall, direttore dell’Ufficio ONU per gli Affari Umanitari nei Territori occupati, “ma un’operazione di totale annientamento”.

La comunità internazionale e il vuoto morale

Nel mezzo di questa tragedia, l’Occidente continua a oscillare tra retorica e complicità. Gli Stati Uniti, principali alleati di Israele, hanno difeso l’operato dell’esercito israeliano anche di fronte all’evidenza dei crimini commessi. La proposta del presidente Biden di trasformare Gaza in una “Miami del Mediterraneo” è suonata come una sinistra provocazione, se non una vera e propria forma di disumanizzazione.

A dare un segnale di discontinuità, almeno simbolico, è stato il presidente francese Emmanuel Macron, che ha dichiarato l’intenzione della Francia di riconoscere lo Stato di Palestina entro giugno. Un gesto importante, benché tardivo, che potrebbe riaccendere i riflettori sulla necessità della soluzione a due Stati.

Tuttavia, le parole di Macron sono state immediatamente respinte da Israele, che ha bollato l’iniziativa come “una ricompensa per il terrorismo”.

Ma quale terrorismo può giustificare la morte di bambini, il bombardamento delle scuole, la distruzione degli ospedali e lo sterminio sistematico di un popolo prigioniero in una delle aree più densamente popolate del pianeta?

Il primo ministro israeliano Netanyahu ha parlato di “battaglia per la civiltà giudaico-cristiana”. Una retorica inquietante, che ribalta la realtà e chiama “barbarie” la resistenza di un popolo alla propria cancellazione.

Oggi più che mai, il silenzio equivale a complicità. Le democrazie occidentali devono rompere l’ambiguità e riconoscere con chiarezza ciò che sta accadendo: un crimine contro l’umanità sotto gli occhi del mondo. Gaza è un test morale globale. E l’umanità, finora, lo sta fallendo.

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Marquez
Marquez
Corsivista, umorista instabile.

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