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Il capitalismo sta auto-sabotando il sistema-mondo

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Il capitalismo sta auto-sabotando il sistema-mondo da esso proposto. Con le buone o le cattive la ricchezza si sta spostando dal vecchio centro nord-atlantico ad altri poli.

Il capitalismo e il sistema-mondo*

Come per l’arte (l’ottimo Argan nei suoi manuali lo scriveva più di venti anni fa) vediamo comparire più poli sparsi nel mondo.

San Paolo, Shangai, Città del Capo, Bombay, Tokyo, Seul, Sidney e persino Lagos hanno poco da invidiare a Londra e New York.

Sempre più città superano un certo numero di abitanti, servizi, turisti annuali, aeroporti, velocità internet; sempre più città diventano snodi di vie commerciali (pensate a quanto stia impattando la Via del Seta), finanziari, tecnologici o della moda, dell’arte, del cinema (Vancouver, in Canada, è la terza città in Nord America per numero di film prodotti).

Nigeria e India producono film al chilo, come facevano l’Italia e la Francia nel dopoguerra; un mondo giovane e in espansione, che non ha voglia di stare in casa, isolato, vuole uscire, spendere, vivere riti sociali, incontrarsi.
Il capitalismo ha sposato l’Occidente e ora rende il conto.

Per sopravvivere i capitali hanno dovuto spostarsi e aprire altri mercati (permettendo prima il volano cinese e poi di tutto il Sud), la fame di risorse ha fatto volare i prezzi delle materie prime, la concorrenza al ribasso ha fatto tracollare salari e diritti lavorativi in tutto l’Occidente.

Non viene a mancare la fabbrica, non solo, ma tutto l’impianto della società industriale con pacchetto completo: ottimismo, natalità, consumi alti, inflazione da crescita, PIL positivo.

Il capitalismo diventa incapace di innovare e quindi di soddisfare la base nei paesi a capitalismo avanzato (noi).

Ondate di scontento e populismo si susseguono, deludendo sempre più i cittadini che smascherano questa sorta di post-democrazia (senza partiti, sindacati, corpi intermedi), la nostra è una democrazia -al massimo- delle banche.

Nel Sud del mondo vediamo invece il film che conosciamo, un susseguirsi rocambolesco di carriere politiche, regimi e proteste, svolte democratiche, oscurantismi e progressismi, persino qualche partito leninista di successo.

L’Occidente cerca una via di uscita, una chiave per risolvere il proprio personale ritratto di Dorian Gray di cinquantenne in crisi; si fanno prove muscolari contro la nazione più povera e giovane del Medio Oriente, si giustifica un genocidio in una città trattata come un pollaio per decenni, si aiutano i tagliagole per fare attentati in Iran (e poi vedremo attentati di nuovo in Europa e Nord America, ne discuteremo e capiremo di aver sbagliato, ma non cambierà nulla…).

In questo triste ritorno al futuro, in cui tentiamo di emulare un periodo storico perduto quello tra il ’45 e il 2000, in cui avremmo potuto fare un po’ di tutto per migliorare il mondo e invece abbiamo gozzovigliato sul banchetto neocoloniale, convinti che a pagare il conto sarebbero stati sempre gli altri.

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*Fonte

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