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Makoko e gli slums: il ground zero esistenziale del neoliberismo

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Makoko e gli slums: la descensio ad inferos di un’intera comunità che, oltre alla dittatura di Mobutu, è stata costretta a subire anche due devastanti piani di finanziamento del FMI.

Makoko e gli slums

Rivedendo un breve video su Makoko, il celebre quartiere galleggiante di Lagos (lo trovate alla fine dell’articolo), e ripensando alle riflessioni di Mike Davis nel suo Il pianeta degli slums (2006), emergono alcuni spunti che meritano una seria riflessione.

Davis, con il suo stile diretto e lucido, descrive il disastro urbanistico, sociale ed economico che ha travolto città come Kinshasa, una devastazione alimentata da decenni di cattive politiche e di sfruttamento.

Kinshasa, sotto la dittatura cleptocratica di Mobutu, è stata costretta a subire gli effetti di due programmi di finanziamento del Fondo Monetario Internazionale, tra il 1977 e il 1987. Questi piani, sostenuti da Washington e supervisionati da tecnici francesi, hanno imposto un modello di “sviluppo” neoliberale: riduzione al minimo dello Stato, progressiva deregolamentazione e apertura indiscriminata ai capitali esteri.

Gli asset nazionali, come le miniere di diamanti, furono messi a garanzia dei prestiti, provocando il collasso delle campagne. Questo esodo forzato verso le città ha fatto esplodere gli slum, trasformando Kinshasa in una baraccopoli immensa.

Le conseguenze di tali politiche sono state devastanti: un’intera società è stata ridotta alla miseria, e nel 1997, sotto la spinta di una rivolta popolare, Mobutu fu costretto all’esilio. Tuttavia, al suo declino seguì una guerra civile, caratterizzata da massacri di proporzioni enormi, paragonabili per brutalità alla Guerra dei Trent’anni in Europa.

Oggi, solo il 5% della popolazione di Kinshasa dispone di un reddito regolare; il resto vive “arrangiandosi”, in un contesto dove l’altruismo è scomparso, soppiantato da una mentalità di sopravvivenza individuale. La “malattia dei bianchi”, come la chiamano i kinois, ha introdotto comportamenti prima sconosciuti, come il gioco d’azzardo, le lotterie e ogni forma di schema piramidale, alimentati dalla speranza di uscirne prima del collasso.

Questa deriva culturale è stata ulteriormente aggravata dall’esplosione delle sette neopentecostali, che, promettendo una salvezza miracolosa dalla miseria, hanno diffuso nuove forme di discriminazione e persecuzione. In un contesto così degradato, i bambini – i più deboli e indifesi – sono spesso accusati di stregoneria e sottoposti a rituali brutali e disumani.

Mike Davis descrive gli slum di Kinshasa come un “Ground zero esistenziale”, uno spazio dove la vita si riduce a mera sopravvivenza, e oltre il quale non c’è altro che carestia, campi di sterminio e un orrore degno di Cuore di tenebra.

Makoko, tra resilienza e abbandono

Makoko, il quartiere galleggiante di Lagos, rappresenta un caso altrettanto emblematico. Costruito su palafitte piantate nelle acque inquinate della laguna, Makoko è spesso descritto con toni esotici come la “Venezia nera”. Ma questa etichetta romantica maschera una realtà ben più complessa: Makoko è un simbolo della marginalizzazione urbana, una testimonianza vivente del fallimento di politiche abitative inclusive.

Le abitazioni, costruite con materiali di recupero come legno, plastica e lamiere, sembrano resistere contro ogni logica di precarietà. Le canoe fungono da mezzo di trasporto e strumento di lavoro, mentre la comunità vive grazie a economie informali: pesca, piccoli commerci e riciclo. Tuttavia, questa straordinaria capacità di adattamento non basta a nascondere il degrado ambientale e la mancanza di servizi essenziali che soffocano la vita quotidiana.

Come a Kinshasa, anche a Makoko si assiste al fallimento delle promesse della globalizzazione. La crescita demografica della Nigeria e la mancanza di pianificazione urbana hanno creato un divario sempre più marcato tra ricchi e poveri.

A differenza dei grattacieli scintillanti di Lagos, Makoko è una città di margine, un luogo dove l’acqua stagnante e i rifiuti convivono con la disperazione e la resilienza.

Negli ultimi anni, le autorità hanno cercato di demolire parti di Makoko, considerandolo una macchia nel contesto di una città che ambisce a essere una “megacity” globale. Le operazioni di sgombero, spesso condotte senza fornire alternative abitative, hanno esacerbato il senso di esclusione degli abitanti, spingendoli ulteriormente ai margini della società.

Ma la cittadina galleggiante non è solo il prodotto della povertà, ma anche di un modello economico che sacrifica intere comunità sull’altare dello sviluppo. La sua fragile bellezza, fatta di legno e plastica, è una metafora potente della condizione umana: una lotta costante per sopravvivere, nonostante tutto.

Alla fine, luoghi come Makoko ci pongono una domanda fondamentale: quale futuro ci aspetta se continuiamo a ignorare il lato oscuro della globalizzazione?

Makoko: The Floating Slum

 

 

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