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Durante un dibattito su La7, Nicola Piovani suggerisce che la musica alta dovrebbe costare meno per includere le classi subalterne. Silenzio imbarazzato in studio. Augias chiude con un lapidario: “Se gratti il musicista, esce fuori il comunista”. La borghesia progressista smascherata.
Come ti smaschero il reazionario
L’altra sera sera si disquisiva di musica alta nel salottino da caffè di Corrado Augias; suo interlocutore pregiato Nicola Piovani. La musica classica ben si presta a quella bonarietà sentenziosa, tipica dei borghesi di alto lignaggio quando vogliono interpretare una partitura progressista. Materia, dunque, esemplare per quel tono pedagogico che, contrariamente al contraddittorio politico, tende a non stridere con la realtà, a non innervosire più di tanto.
La musica precisa, come la chiamava Bernstein, ha bisogno di una ritualità simil-massonica, di esasperare la sua sacralità perché voli al di sopra delle miserie umane.
Eppure, anche in questo guscio protetto, l’impeccabile borghese è stato colto di sorpresa.
L’entusiasta Piovani, certo, nella sua ingenuità fanciulla, di trovarsi a discorrere tra persone mediamente di sinistra, ha mosso un appunto non da poco al mondo della cultura ufficiale, quella insomma che passeggia tra Ministero e fondazioni, tra enti locali e dipartimenti universitari: “la musica dovrebbe costare di meno; anche le classi subalterne dovrebbero godere dell’alta cultura”.
Un silenzio dissolvente ha accompagnato la fine del rimbombo provocato dal termine “classi subalterne”, pronunciato così, senza pensarci più di tanto, addirittura sulla tanto civilizzata La7. Quasi una lesa maestà utilizzare queste parole novecentesche in un luogo in cui quelle vecchie contraddizioni sono state superate dalla postura democratica dei padroni, così premurosi nell’apparire giusti, inclusivi, accomodanti.
Lo sbigottimento del conduttore ha invaso anche lo schermo televisivo; i sorrisi di circostanza sono rotti dall’ammissione di colpevolezza finale. Augias si arrende ai doveri imposti dal proprio ceto di appartenenza: “se gratti il musicista, esce fuori il comunista”, sentenzia. E così chiude la partita.
Molti liberali sono di sinistra, certo, declamano valori, tutti astratti però. Il più astratto di tutti è chiamato democrazia. Ma se si fa un minimo accenno alla giustizia, all’idea che esistono classi sfruttate e non pigre, ecco che allora tutto cambia, tutto si trasforma in difesa accecata del proprio status, ecco che si muove la piazza delle armi convocata da “La Repubblica”.
Ecco che si evocano parallelismi, equivalenze storiche: il comunismo e il fascismo? La même chose; ça va sans dire.
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