Non si fa altro che parlare delle diseguaglianze. Non lo si fa quasi mai nel contesto di un ragionamento complessivo ma sempre come fossero istituzionalizzate. “Le diseguaglianze”. Al plurale. Una sorta di istituto giuridico. Due sono le perplessità.
La prima sta nel variegare le forme di diseguaglianza in innumerevoli contesti. Etici, civili, psicologici. Annacquando così quella propria e specifica di un sistema capitalista derivante dallo sfruttamento socio-economico per ragioni di profitto.
La seconda risiede in un’evocazione dell’ineluttabile. “Occorre risolvere la questione delle diseguaglianze”. In quanto accadono. Incidentalmente. Da qui il metterci mano. Un po’ alla buona. Perché nessuno le vuole, men che meno il mercato. Ma purtroppo sfortunate congiunture tendono a realizzarle all’improvviso.
Sembra si utilizzi il termine per evitare di pronunciarne uno più appropriato, quello di ingiustizia, che politicizzerebbe la questione. Non sia mai.
Discorso sull’origine delle disuguaglianze
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