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È evidente a molti il disastro culturale che ha travolto ciò che resta della sinistra un tempo di massa, conseguenza diretta del progetto avviato da Repubblica e dal suo fondatore Eugenio Scalfari.
La storia sbagliata del progetto Repubblica
Il quotidiano Repubblica, nato per volontà di Eugenio Scalfari come strumento di un progetto ambizioso e trasformativo, ha attraversato una parabola che l’ha portato da protagonista del panorama culturale italiano a simbolo di un disastro intellettuale e politico.
Come scriveva il professor Vincenzo Costa nell’imminenza delle elezioni del 2022, che hanno poi visto il trionfo annunciato di Giorgia Meloni, la sua fondazione segnava l’inizio di un progetto volto a costruire un “partito liberale di massa”, elitario e verticistico, che avrebbe utilizzato le risorse dei grandi partiti popolari del passato – PCI, DC e PSI – per consolidare un’élite progressista.
Quel progetto, pur raggiungendo alcuni obiettivi di vertice, ha finito per fallire nel suo scopo di radicarsi nelle masse, lasciando un vuoto che oggi pesa sull’identità della sinistra italiana.
La fine di un progetto e il fallimento della sinistra
Il fallimento del progetto di Repubblica si intreccia con il destino del Partito Democratico, un’entità vuota, una “superficie di cellophane”, incapace di rappresentare le istanze popolari. Le masse, che un tempo guardavano alla sinistra come riferimento, si sono allontanate, trovando altrove un rifugio per il loro desiderio di cambiamento.
Questo abbandono non è solo un dato politico: è il risultato di un disastro culturale e comunicativo che ha avuto nel quotidiano romano tra i suoi principali attori.
La cessione del gruppo GEDI agli eredi Agnelli (Exor) segna il punto finale di questa parabola. Non c’era più necessità di un media che sostenesse un progetto ormai compiuto – e fallito. Ciò che rimaneva era uno strumento che, per decenni, aveva alimentato una visione illusoria e miope della sinistra, contribuendo alla sua deriva culturale e politica.
L’ideologia della sinistra al tempo di Repubblica
Per comprendere il ruolo di Repubblica nel disastro culturale della sinistra, bisogna guardare alle ideologie che ha veicolato. Trent’anni di filoamericanismo superficiale, di clintonismo-blairismo, di miti liberali e “terze vie” hanno costruito una narrazione priva di radici nella realtà delle trasformazioni sociali ed economiche italiane.
Le analisi socio-economiche del quotidiano, permeate dai dogmi del progresso liberale, hanno ignorato il crescente malessere di ampie fasce della popolazione, che si sono trovate vittime delle “riforme” sempre necessarie, sempre urgenti, e sempre a senso unico.
L’immagine di una sinistra elitista, incapace di comprendere i cambiamenti in corso, si è consolidata attraverso una retorica disconnessa dalla realtà. I lettori di Repubblica, spesso appartenenti a una borghesia benestante, sono stati nutriti di miti vacui e paternalistici, che li hanno allontanati ulteriormente dalla comprensione del paese reale.
Un altro effetto invece è stato il declino di quella borghesia riflessiva che aveva trovato, negli anni repubblicani, una propria identità anche grazie al lavoro del PCI. Questa classe sociale, descritta come “decente” nel suo approccio alla politica e alla società, è stata indebolita prima nella testa che nei fatti. La narrazione elitista e superficiale di Repubblica ha contribuito a disarmarla intellettualmente, lasciandola priva degli strumenti per affrontare i cambiamenti del tempo.
Nel frattempo, le forze del liberismo selvaggio, del localismo rancoroso e del revanscismo neofascista, i cosiddetti “pifferai lombardi con il doppiopetto stirato e la canottiera unta”, si sono radunate con successo, occupando lo spazio lasciato vuoto da una sinistra smarrita.
Ripartire da un fallimento
Il disastro culturale di Repubblica non è solo la storia di un giornale, ma un capitolo chiave del declino della sinistra italiana. È il simbolo di un progetto politico che ha perso il contatto con le realtà sociali che avrebbe dovuto rappresentare.
Senza una visione autentica e radicata nella realtà, anche i progetti più ambiziosi sono destinati a collassare sotto il peso della loro stessa superficialità.
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