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Con le sue pellicole ad alto tasso di nevrosi e humor inconfondibile ha accompagnato le nostre vite: celebriamo gli 89 anni di Woody Allen.
Gli 89 anni di Woody Allen: provaci ancora…
Woody Allen, ha compiuto 89 anni e, al netto degli alti e bassi della parte terminale della sua lunghissima carriera, resta uno dei massimi autori del Novecento, con una galleria di nomi, cose e categorie dello spirito che gli sono servite per fulminarci con una battuta.
Se Dio esiste, spero che abbia una buona scusa.
Woody, ci ha accompagnato in tutti questi anni comunicando con un doppio registro, la banalità evidente di certe affermazioni con luoghi comuni proposti volutamente in eccesso e i paradossi, il capovolgimento del senso comune.
Nella sua travagliata autobiografia, A proposito di niente, uscita dopo molte peripezie causate dall’assurdo ostracismo di ritorno per le note vicende personali che lo coinvolsero diversi anni fa (caso terminato nelle aule giudiziarie con assoluzione piena, il fatto non sussiste, ma mai digerita dai detrattori ), l’incipit è già un programma di quel che sarà, è stato e abbiamo vissuto:
“Adesso sono pronto per nascere. Finalmente faccio il mio ingresso nel mondo. Un mondo in cui non mi sarei mai sentito a mio agio, che non avrei mai capito, che non avrei mai accettato o perdonato. Allan Stewart Konisberg, nato il 1° dicembre 1935. A dire il vero nacqui il 30 novembre, quando era quasi mezzanotte, e i miei genitori spostarono la data, in modo che potessi cominciare dal primo giorno del mese.”
La sua esistenza è fatta di cinema e il finale sempre della sua autobiografia lo conferma, tanto da apparire come l’inizio di un nuovo film:
“Come riassumere la mia vita? Tanti stupidi errori compensati dalla fortuna…”
Allen è uomo di riflessioni sulle panchine, come noi sui divani…
Il cinema di Allen è disseminato di luoghi metropolitani simbolici e in particolare di panchine, considerate alla stregua di un elemento narrativo a tutti gli effetti. Nella semiotica diremmo che le sue panchine sono elementi diegetici.
Su di esse abbiamo assistito a dialoghi nonsense conditi da riferimenti filosofici-esistenziali, a screzi tra amanti, a silenzi tra innamorati.
Ci sono panchine narrative in Pallottole su Broadway, Anything Else, Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni, ma la panchina per eccellenza resta quella di Manhattan, dove siedono ad aspettare l’alba Ike e Mary, e cioè Woody Allen e Diane Keaton, ammirando lo skyline di New York.
Ma Allen è anche Abee Lucas, l’Irrational man di uno dei suoi ultimi film ( questo poco riuscito, ma sarebbe troppo facile pontificare partendo dai suoi capolavori riconosciuti), un professore che ne è l’alter ego che guarda alla vita umana e il suo disinganno, la fortuna e le bizzarrie del fato.
Spesso i suoi personaggi guardano sartrianamente alla superfice della solitudine e ad essi lascia il compito di discettare sui grandi interrogativi della nostra umanità, confusa e disfatta, sul significato di ciò che realmente ha un senso, nonché sulla effettiva importanza del senso stesso.
Nel caso di Abee lo fa mostrando la disillusione più cupa del professore che nelle teorie dei grandi filosofi non trova più alcun valore fondante ma, al contrario, proprio dal ragionar intorno ad esse, trae uno smarrito sconforto.
Ovviamente, come elemento tipicamente alleniano, questo tormento da spleen mai superato, genera nella platea femminile, una irresistibile fascinazione
Preso in un ingranaggio esistenziale che per lui non è che fonte di afflizione, Abee rifiuta ogni approccio teorico, nel quale non ravvede più alcuna importanza con l’assurdità della vita e finisce per convincersi che soltanto l’azione potrà riscattare l’uomo dall’inutilità della parola.
Lui, Allen, che nel cinema della parola ha trovato piena realizzazione, trova nei suoi personaggi la fuga a se stesso, uno schmiel, l’idiota ebraico, cioè l’eroe perdente, che trova la consolazione finale tra le braccia di una donna, passando prima tra avventure impensabili: chi diviene dittatore nello stato libero di Bananas, chi cerca di uccidere Napoleone, chi si immedesima con Bogart, chi si improvvisa detective, commediografo…
89 anni di Woody Allen: cose per cui vale la pena vivere
Se dovessi racchiudere Allen in un frammento, una delle prime cose che mi verrebbe in mente è una delle ultime sequenze del suo capolavoro, Manhattan, quando steso su un divano elenca le cose per cui vale la pena vivere, facendo un panorama intellettivo di riferimento:
“Idea per un racconto sulla gente a Manhattan, che si crea costantemente dei problemi veramente inutili e nevrotici perché questo le impedisce di occuparsi dei più insolubili e terrificanti problemi universali. Ah, ehm… Deve essere ottimistico. Perché vale la pena di vivere? È un’ottima domanda.
Be’, ci sono certe cose per cui valga la pena di vivere. Ehm… Per esempio… Ehm… Per me… boh, io direi… il vecchio Groucho Marx per dirne una e… Joe Di Maggio e… secondo movimento della sinfonia Jupiter e… Louis Armstrong, l’incisione di Potato Head Blues e… i film svedesi naturalmente… L’educazione sentimentale di Flaubert… Marlon Brando, Frank Sinatra… quelle incredibili… mele e pere dipinte da Cézanne… i granchi da Sam Wo… il viso di Tracy… “
Quand’ero ragazzo non capivo perché il viso di Tracy stesse in quell’elenco, ora si. E in quella lista speciale aggiungerei proprio lui, Woody Allen.
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