I dati delle campagne di sostenibilità da parte dell’Eni sono reali? Sembrerebbe proprio di no osservando…i loro stessi dati.
Eni, il Greenwashing e i veri dati
Le politiche, molto poco ambiziose dal punto di vista ambientale, messe in atto dai governi degli ultimi decenni, Sblocca Italia in testa, hanno reso il nostro Paese completamente dipendente dai combustibili fossili.
Il ruolo centrale in questo scenario appartiene ad ENI, il colosso fossile in parte a partecipazione statale, controllato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per il 4,34% e da GreenDiesel S.p.A per il 25,76%, che rappresenta la cristallizzazione di una politica aziendale speculativa, che ignora completamente i territori in cui opera, dove si verificano pesanti ricadute ambientali e sanitarie.
Tutto questo condito dal tentativo continuo di restituire l’immagine di un’azienda attenta alle questioni ecologiche, come ha fatto nel caso dell’operazione, di puro marketing, di firmare con una mano l’impegno a ridurre le emissioni, in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, mentre con l’altra lavorava ad un ulteriore incremento della produzione di idrocarburi.
Eni, intrecci da Porto Marghera al Congo Brazzaville
Le mobilitazioni contro Eni sono diffuse in tutta la penisola perché tutta la penisola è ferita dalle molteplici attività dell’azienda: dalla Basilicata, dove c’è il più grande giacimento onshore dell’Europa continentale, fino ai siti industriali in cui le attività petrolchimiche di ENI hanno contribuito al disastro ambientale, come nel caso di Porto Marghera.
I suoi affari e interessi devastano comunità, territori e salute non solo in Italia ma anche in numerosi paesi del mondo, dalla Nigeria al Congo Brazzaville.
Per avere un quadro complessivo dell’impatto delle politiche energetiche targate Eni, è sufficiente guardare l’analisi delle attività dell’impresa e delle conseguenze negative da esse causate nei territori.
Eni infatti è uno dei grandi player globali dell’energia e, con le sue 215 controllate, lavora in ben 67 paesi del mondo, continuando ad aumentare la produzione di idrocarburi, in netto contrasto con l’impegno globale per la riduzione delle emissioni climalteranti.
Mentre il fronte estrattivo si allarga, le comunità continuano a resistere all’operato di Eni e delle sue controllate.
Dal Blocco 10 al Delta del Niger
Le comunità amazzoniche dell’Ecuador, che da 30 anni hanno subiscono gli impatti delle attività estrattive nei loro territori, sono in prima linea per contrastare l’allargamento della zona estrattiva, ovvero del cosiddetto Blocco 10.
I membri delle comunità coinvolte hanno denunciato un clima di criminalizzazione contro chi si oppone all’allargamento, autorizzato peraltro in violazione dell’obbligo di consultazione preventiva e informata riconosciuta alle popolazioni indigene dalla Convenzione n.169 dell’ILO e dalla Costituzione ecuadoriana.
Simile situazione vivono i popoli del Delta del Niger, territorio devastato da 60 anni di estrazione petrolifera ad opera delle principali Oil company mondiali, Eni su tutte.
Contro la contaminazione causata dalla controllata “NAOC – Nigerian Agip Oil Company” le comunità locali sono riuscite ad avviare un processo civile per uno sversamento di petrolio.
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Il greenwashing
Un processo civile in Italia, contro Eni, fatto che costituisce un importante precedente giuridico verso l’individuazione di strumenti concreti per accertare le responsabilità delle imprese in relazione alla violazione di normative ambientali o diritti umani, per le condotte commesse al di fuori del territorio nazionale in cui hanno sede legale.
Eni è e rimane uno dei maggiori produttori di gas climalteranti al mondo e le campagne di sostenibilità che mette in atto, sono solo operazioni di greenwashing neppure troppo riuscite.
Prendiamo il caso del loro tanto pubblicizzato #GreenDiesel che non è affatto #green, come ha detto la prima sentenza italiana contro il #GreenWashing che ha condanna il colosso fossile d’Italia a pagare 5 milioni di euro di multa per pubblicità ingannevole.
L’olio di palma utilizzato per la millantata quota “Green” provoca gravissimi danni ambientali e deforestazione e la produzione di olio di palma è tra le principali cause nella distruzione delle foreste pluviali e della fauna selvatica.
Una sentenza storica
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato infatti ha disposto il 15 gennaio 2020, una multa di 5 milioni di euro nei confronti del colosso energetico italiano per pratica commerciale ingannevole in merito alla pubblicità ENIdiesel+, che ha inondato giornali, televisione, radio, cinema, web e stazioni di servizio dal 2016 al 2019.
Una sentenza storica per pratica commerciale scorretta perché il cosiddetto biodiesel, prodotto con olio di palma, è insostenibile.
La sentenza rappresenta un segnale forte nei confronti delle compagnie di combustibili fossili e dei loro tentativi di rappresentare al pubblico i biocarburanti come rispettosi dell’ambiente e addirittura come parte della soluzione alla crisi climatica.
Secondo uno studio per la Commissione europea, il biodiesel prodotto con olio di palma è tre volte peggiore per il clima rispetto a un prodotto diesel normale se si tiene conto delle emissioni indirette causate dalla modifica nell’uso della terra.
La sentenza, storica, è la prima che smaschera l’inganno perpetrato ai danni dei cittadini e dell’ambiente da ENI ed anche la prima volta che si parla di greenwashing in un’aula di tribunale italiana.
Ora il Governo interrompa gli incentivi all’uso dell’olio di palma nel diesel, come da tempo chiedono le associazioni ed i movimenti ambientalisti.
Complicità al greenwashing
ENI è parte in causa nella distruzione del nostro pianeta, della nostra casa e della crisi climatica attuale. Bisogna cambiare il mondo della politica, bisogna cambiare il modo di produrre e commerciare perché abbiamo 8 anni per azzerare le emissioni. Giustizia climatica è anche chiedere conto a chi, negli ultimi decenni, più di tutti ha compromesso irrimediabilmente ambiente ed esseri viventi.
Le operazioni continue di greenwashing, messe in atto da Eni, hanno subito nel mese di Gennaio una virata eccezionale, con la complicità dell’Associazione Italiana Presidi, i cui vertici si sono incontrati con i vertici ENI per presentare un programma congiunto di incontri, sui temi della sostenibilità ambientale, che andranno a formare docenti della scuola pubblica italiana.
Il comunicato ufficiale recita: “L’esperienza di Eni nell’ambito della sostenibilità ambientale consentirà di fornire informazioni e percorsi di approfondimento aggiornati e puntuali”.
Affermazioni inaccettabili, ancora di più se vengono a pochi giorni dalla sentenza suddetta. Tra i temi che saranno trattati nei seminari dagli esperti di ENI anche le bonifiche ambientali. Forse l’ANP non conosce lo stato di avanzamento delle bonifiche nei siti inquinati da ENI come ad esempio Gela. Glieli possiamo dire noi ambientalisti, magari più indicati di ENI a formare docenti.
I dati
Gela? 0% di aree bonificate.
Manfredonia? 0%
Brindisi? 6%
Porto Marghera? 11%
Questi numeri parlano da soli…
Ennesimo giochetto di ENI, che con una pseudo attività di formazione, avvia un’operazione propagandistica di restauro della propria immagine, tentando così di riaccreditarsi come società attenta alla tutela ambientale.
Dobbiamo costruire un fronte di opposizione all’insegnamento condotto da parte interessata e al coinvolgimento delle scuole nell’operazione di greenwashing del colosso petrolchimico, dicendo anche NO all’alternanza scuola-lavoro con ENI.
Tutti i dati riportati sono qui consultabili:
Eni 2019. Azionisti di controllo e altre partecipazioni rilevanti.
Eni, 2019. 2019-2022 Strategic Plan – Eni.
Eni, piano strategico 2019\2022
Eni, 2018. Relazione finanziaria annuale 2018.
Eni, 2018. Fact Book Eni 2018.
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