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Altro che Nobel per la pace, l’accordo Israele-Emirati Arabi incendia l’area

Il recente accordo Israele-Emirati Arabi Uniti altro non rappresenta che un’ulteriore fonte di tensione nella regione mediorientale, come sempre sulla pelle del popolo palestinese. L’analisi di Giulio Chinappi dal suo World Politics Blog

Altro che Nobel per la pace, l'accordo Israele-Emirati Arabi incendia l'area

L’accordo tra Israele ed Emirati Arabi fonte di tensione nella regione

Il complesso scenario mediorientale è tale al punto che persino ciò che viene ufficialmente presentato come un accordo di pace può in realtà nascondere insidie che portano con sé l’ulteriore incremento delle tensioni internazionale in una regione già altamente instabile.

In particolare, l’accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti risponde ad un piano volto ad isolare in maniera sempre maggiore la Palestina, l’Iran ed il partito sciita libanese di Hezbollah (Ḥizb Allāh, il “Partito di Dio”).

Non è un caso che a riguardo sia intervenuto proprio il leader di questa organizzazione, Hassan Nasrallah, che insieme ad Isma’il Haniyeh, direttore dell’ufficio politico di Ḥamās (acronimo di Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya, Movimento Islamico di Resistenza), ha rilasciato un comunicato per confermare le relazioni tra i due gruppi in occasione della visita di Haniyeh in Libano.

Intese tra Nasrallah e Haniyeh

I colloqui tra i due leader hanno riguardato gli ultimi sviluppi politici e militari in Palestina, Libano e nella regione, si legge nel comunicato. Nasrallah e Haniyeh hanno anche discusso della crescente tendenza alla normalizzazione tra alcuni regimi arabi e Israele, nonché della responsabilità della comunità musulmana internazionale di fronte a queste minacce. Hanno inoltre dibattuto dei pericoli che devono affrontare la causa palestinese, in particolare il cosiddetto Accordo USA del secolo e progetti di normalizzazione con Israele.

Proprio mentre Haniyeh si trovava in Libano, il segretario generale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), Saeb Erekat, ha dichiarato che la Palestina interromperà le sue relazioni con qualsiasi Paese che sposta o apre la sua ambasciata a Gerusalemme. Esortiamo tutti gli stati nazionali a rispettare il diritto internazionale, comprese le risoluzioni 478 e 2334 del Consiglio di sicurezza, ha aggiunto Erekat nel suo messaggio.

La risoluzione 478 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC), adottata il 20 agosto 1980, vieta in particolare ai Paesi di stabilire missioni diplomatiche nei territori occupati di Gerusalemme.

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Gli accordi capestro bilaterali

Proprio di recente, infatti, la Serbia e il Kosovo si sono accordati per lo spostamento delle proprie rappresentanze diplomatiche in Israele a Gerusalemme, nel quadro di un accordo raggiunto tra Belgrado e Priština con l’ingombrante mediazione degli Stati Uniti.

Anche in questo caso, un presunto accordo di pace è in realtà un mezzo utilizzato da statunitensi e israeliani per raggiungere i propri scopi. In precedenza, l’ambasciatore palestinese a Belgrado, Mohammed Nabhan, aveva dichiarato che il provvedimento in atto è contrario al diritto internazionale e alle risoluzioni delle Nazioni Unite relative alla questione palestinese.

Come se non bastasse, la repressione israeliana nei confronti dei territori palestinesi si è addirittura acuita, se possibile. L’Organizzazione delle Nazioni Unite è intervenuta sul tema in questi giorni, affermando che Israele deve consentire immediatamente l’ingresso di carburante e altri prodotti essenziali a Gaza.

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Prosegue senza sosta il blocco israeliano a Gaza

Il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per i territori palestinesi, Jamie McGoldrick, ha fatto riferimento al blocco israeliano della Striscia di Gaza e ha ricordato che il carburante è vitale per quel territorio. La sua unica centrale elettrica funziona a carburante e ha chiuso le sue operazioni il 18 agosto. Da allora, i 2 milioni di residenti hanno visto il loro servizio ridotto a quattro ore al giorno.

Il funzionario ha aggiunto che la situazione si è aggravata dopo che il 24 agosto sono stati rilevati i primi casi di Covid-19 all’esterno delle strutture di quarantena. Le autorità sanitarie hanno confermato finora 280 casi attivi, 243 dei quali corrispondenti a trasmissione comunitaria. Le interruzioni di corrente hanno gravi conseguenze negli ospedali, che hanno pazienti in terapia intensiva, cronica e di emergenza, ha sottolineato.

Israele ha anche limitato l’ingresso di alcune merci e ridotto l’area di pesca autorizzata. Di fronte a questo panorama di “crescente deterioramento della situazione umanitaria“, il funzionario ha chiesto a questo Paese di adempiere ai propri obblighi di potenza occupante per garantire i bisogni fondamentali della popolazione ed evitare il crollo dei servizi di base.

L’allarme della Croce Rossa

A sua volta, il capo della Sottodelegazione di Gaza del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), Ignacio Casares, denuncia la “terribile pressione” sulla popolazione della Striscia di Gaza, a fronte di un focolaio di coronavirus e in in mezzo alle dure condizioni imposte dallo stato di Israele su quel territorio palestinese.

Gaza è riuscita a contenere la diffusione del virus, che causa il Covid-19, attraverso un rigido regime di quarantena, ma da lunedì (31 agosto, ndr) il numero dei contagiati è aumentato in modo preoccupante, ha aggiunto Casares. Il trattamento dei pazienti richiede attrezzature ospedaliere, laboratorio, farmaci e forniture speciali che non sono disponibili nelle istituzioni locali, o esistono in quantità insufficienti, ha lamentato.

Di fronte alle dure condizioni di vita degli abitanti della Striscia di Gaza, il CICR ha ribadito la sua solidarietà con la popolazione palestinese e ha invitato la comunità internazionale a fornire tutta l’assistenza possibile.

Giulio Chinappi, -World Politics Blog

 

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