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Sono menti petulanti, ossessionate, quelle che indirizzano la propaganda occidentale. Il problema principale che hanno dovuto affrontare in questi mesi è la giustificazione morale di un genocidio.
Gaza e i mistificatori seriali
Come far sciogliere l’incantesimo di empatia verso la popolazione palestinese vittima di uno sterminio programmato?
Nella logica elementare ma perseverante dell’apostolato atlantista bastava associare la Palestina all’integralismo islamico e, di conseguenza, alla condizione delle donne. Il perno di questa affabulazione è stato, sin dai primi massacri criminali di Gaza, l’Iran.
Si sono taciuti, per esempio, i comunicati delle donne palestinesi di piena solidarietà con i propri uomini, inchiodati al martirio di fronte all’invasore; quindi ben diversi dallo spirito del femminismo altero e blasonato d’importazione statunitense che si irrita per la condizione femminile in Iran, dove le donne godono di ampie libertà rispetto ai paesi limitrofi, ma esulta inebetito di fronte all’avanzata del tagliagole redento in Siria.
Era facile prevedere che la campagna di discredito del popolo palestinese, grazie alla manipolazione sull’Iran, avrebbe affascinato, alla lunga, una composita compagine.
Dal brogliaccio direttamente confezionato a Washington de “Il Foglio”, con la stagionata cocotte della CIA a fare da mentore per imbastire reportage di regime sulle ragioni genocide d’Israele; a stupefacenti frange dell’antagonismo di sinistra, che di anticapitalista non hanno più nulla, sempre in prima linea nel ricevere stimoli culturali d’oltreoceano da monetizzare in qualche Centro Sociale Spa.
Insomma quel ribellismo piccolo borghese a cui conviene, a conti fatti, stringere patti con l’assessore del Pd di turno, per salvaguardare gli spazi di creatività situazionista al servizio del capitale inclusivo.
Questo strano miscuglio eterogeneo di forze fornisce all’estremismo eversivo di centro, al Partito radicale di massa che riempie l’intero Parlamento, il telaio ideologico sul quale fondare le campagne di contraffazione seriale della realtà oggetto di un dibattito pubblico immaginario e corrotto. Condotto, impeccabilmente, dalle grandi vedette televisive, con i loro talk show di regime.
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