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lunedì, Giugno 16, 2025
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Da Gli abitanti pallidi a I topi di Orano: l’ombra del virus

Michele Caccamo ne Gli abitanti pallidi ha trattato temi e libri attraversati dall’ombra del virus, l’allegoria della peste aleggiante nelle vite. I topi di Orano è il suo incontro con La peste di Camus.

I topi di Orano

Da Orano fuggivano anche i topi: quello che stava accadendo era un debito degli uomini. Gli animali non commettono peccati mortali, non per colpa loro.

Rieux si affacciava spesso dal balcone della sua casa; tutto era domestico e davanti a lui non c’era nulla che potesse sporcare i suoi occhi. La sua vestaglia sembrava eroica che nessuno da sotto, dalla strada, osava guardarla. Fin quando sua moglie non ebbe all’improvviso un colore indefinito e la febbre. Per quanto fosse bella non aveva potuto evitare di spargere la peste.

La stazione faceva sempre lo stesso formale rumore di ferraccio incandescente, tanto che Rieux dovette coprirsi le orecchie. Quel treno non era più gentile degli altri, schiattava di fumo e sofferenze. Sembrava che non riuscisse a ripartire.

Orano ormai aveva in corso una stirpe infetta. Michel ci restò secco per primo: lui aveva avuto la colpa di passare per le stanze della casa di Rieux, e di salutare, porgendogli la mano, la signora. Non poteva pensare che quell’omaggio lo avrebbe reso mortale. Alcuni poi si videro ingrossare il collo, crescere le noci sotto le ascelle, tingere la pelle di macchie sconosciute. Molti di loro finirono nel delirio e dopo nella morte.

Da 'Gli abitanti pallidi' a 'I topi di Orano' l'ombra del virus
«La Peste di Azoth» (1631) di Nicolas Poussin.

Rieux cercava tamponi per la sua colpa di famiglia; si vedeva sputare addosso, gli sarebbe stato meglio fuggire. Cercava in qualsiasi posto una riserva di ossigeno per i polmoni, una scorza che li proteggesse.

A Orano avevano installato le tende, nelle scuole e in qualsiasi spazio largo. Cadevano meno leggere delle foglie le persone, le fosse comuni non erano sufficienti. E anche il siero nel piccolo Othon è parso acqua.

Rieux cercava nell’erba selvatica, nella preghiera, nell’officina dei suoi esperimenti la cura, fosse una polvere un liquido qualsiasi cosa di saggio.

Le case erano gelate e i tetti erano senza nuvole, nelle cristalliere si mettevano in fila le foto e i giocattoli. Stava finendo tutto, la vita era diventata una bollicina. Si aspettava la peste come un qualsiasi invitato improvviso e sgradito.

Rieux riuscì a completare la miscela. E Grand fu il primo che riprese a saltare. Si fecero avanti poi i topi, e sembrava che danzassero, e poi a uno a uno i malati. E poi il rumore e la folla. E poi i tacchi della speranza che schiacciavano i vermi dell’infezione. E poi Dio, con il suo sorriso pacifico e in apparenza felice, con la peste nella mano, che all’improvviso sarebbe diventata un fiore di bellezza.

 

1 La Peste –Albert Camus.

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Michele Caccamo
Michele Caccamo
Editore, poeta e scrittore. Più tante altre cose ma non basterebbero queste poche righe.

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