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sabato, Luglio 12, 2025
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Quando a morire sono “quelli famosi”

La morte irrompe nello spazio pubblico, che ormai coincide con quello dello spettacolo, quando a lasciarci sono i personaggi noti, “quelli famosi”, tracimando con la retorica del guerriero, in linea con il pensiero corrente che non accetta la morte e ad essa oppone l’eroismo.

La morte di “quelli famosi”

La riflessione sulla morte e la consapevolezza dell’essere mortale dell’uomo sono completamente espunte dal nostro modo di vivere e di pensare il mondo, gli altri e, ovviamente, noi stessi.

La nostra è la società dell’eterna giovinezza e i vari e le varie sessanta-ottantenni che stanno in TV con facce di plastica da trentenni non ci parlano del potere dei vecchi, ma dell’esaltazione della gioventù, dell’assenza di limiti tipica del nostro modo di essere in questa triste – e allo stesso coloratissima – postmodernità.

La morte, però, ovviamente – e fortunatamente, verrebbe da dire in modo paradossale – irrompe nelle nostre vite. Muoiono i propri cari, gli amici e le amiche, i compagni e le compagne, i mariti e le mogli. Irrompe però anche nello spazio pubblico che ormai è solo quello dello spettacolo, della TV e dei vari social media. È la morte dei famosi, dei calciatori, dei cantanti, degli attori. E tutti questi illustri scomparsi diventano, peraltro senza volerlo, dei guerrieri, degli eroi e dei grandi saggi.

Mi interessa qui parlare della saggezza che viene attribuita a chi se ne va dopo un male incurabile, una lunga malattia. È la cosa che mi pare più interessante. In fondo, la retorica del guerriero è in linea con il pensiero corrente, quello per cui non si accettano la morte e il limite e si oppone loro l’eroismo.

La saggezza che si riconosce a chi se ne va dopo una lunga malattia mi pare invece importante: si tratta di un elemento di speranza per la nostra società così sorda al concetto di limite.

In questi giorni, in TV e in vari luoghi social abbiamo visto più volte quell’intervista in cui Vialli dice che sa che non morirà di vecchiaia, portata come testimonianza della sua saggezza, del suo spessore umano, della sua grandezza. Se ci pensiamo con un certo distacco, la cosa fa sorridere.

In fondo, è una banalità e lo stesso Vialli l’ha detta come tale e non credeva certo di pronunciare una massima da grande saggio. Però, il fatto che in tanti l’abbiano riportata e che si parli molto di come i cosiddetti famosi abbiano affrontato la malattia con la consapevolezza della morte è comunque un elemento importante.

Ci fa sperare che la morte non sia stata completamente esclusa dai nostri pensieri, che continui a questionarci, a essere oggetto di discussione pubblica. E questo è un bene, perché è solo nell’accettazione del limite che l’essere umano è veramente umano.

È solo nella coscienza della morte che l’umano crea l’arte, il pensiero e la politica, cioè la costruzione di quella social catena che si fa solidarietà sociale tramite le istituzioni.

* Articolo per gentile concessione di Claudio Bazzocchi dalla sua pagina Fb

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