Buio, il thriller apocalittico di Emanuela Rossi in streaming dal 7 al 21 maggio.
Buio, l’apocalisse in un film
Alla temporanea chiusura di teatri, sale cinematografiche e altri spazi di formazione culturale e aggregazione sociale occorre pur reagire.
In questo clima di emergenza la rete si sta proponendo sempre più quale punto di riferimento, per chiunque voglia almeno dedicarsi a visioni di qualità, a stimolanti proposte cinefile, poco importa se corrispondano a intrattenimento puro o abbiano qualche velleità autoriale in più.
La fame di novità si fa comunque sentire.
Buio, in streaming dal 7 maggio
Ed è quindi con grande piacere che abbiamo accolto questo nuovo stimolo: dal 7 maggio è visibile in direct to video, grazie al coinvolgimento degli Esercenti Cinematografici, MyMovies e Taxi Drivers, l’opera prima di Emanuela Rossi, Buio, un originale thriller apocalittico prodotto da Courier Film e distribuito da Artex Film con la consulenza di Antonio Carloni.
Il film in questione dovrebbe essere disponibile attraverso questo innovativo sistema distributivo, che prevede un pagamento per la visione di Euro 4,90 tramite PayPal, ancora fino al 21 maggio.
L’esordio di Emanuela Rossi
Approfittatene. Perché l’esordio di Emanuela Rossi, giocato tra atmosfere claustrofobiche e una incipiente agorafobia nell’approccio delle protagoniste al mondo esterno, non pago di essere uno dei migliori debutti italiani degli ultimi anni, si configura ora quale conturbante contraltare dell’esperienza che noi tutti stiamo vivendo, a causa del lockdown.

Come a dire: esistono davvero casi in cui un’opera cinematografica particolarmente ispirata assume quasi tratti divinatori, travestendosi per le sue argute basi socio-pedagogiche in un piccolo trattato di futurologia.
Anche se in realtà, come approfondiremo più avanti, Buio era già ben inserito sul nascere in una traccia assai feconda della drammaturgia contemporanea.
La trama
Orchestrato sulle restrizioni di movimento imposte a personaggi che interagiscono, almeno all’inizio, con spazi limitatissimi, il film vede svilupparsi la sua trama cupa e ansiogena a partire dai seguenti presupposti: l’inquieta adolescente Stella abita con due sorelle più piccole, Luce e Aria, in una casa dalle finestre sbarrate dove è solo il padre a poter fare avanti e indietro con l’esterno, uscendo durante il giorno per procurare il cibo alla spaurita famigliola e rincasando ogni sera, dopo essersi spogliato della maschera antigas e di una tuta termica.
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Il sinistro genitore, ossessionato da una visione ultracattolica della società, è in realtà un abile manipolatore e una sorta di “padre padrone”, che, dopo averle convinte che fuori è in atto una catastrofe planetaria e che il Sole sta morendo, non lesina attenzioni morbose alle figlie più grandi…
Il Buio della pandemia
Insistere oltre sugli impressionanti rimandi al distorto stile di vita creatosi oggi con la pandemia potrebbe apparire fin troppo sadico. E sadico un simile racconto cinematografico lo è già abbastanza di suo.
Ma a fare capolino è anche una sottile speranza, perché come in un crocevia tra il platonico “mito della caverna” e certi riti di passaggio da young-adult cinematografico, una delle protagoniste saprà trovare il modo di emancipare sé stessa e le proprie sorelle.
Apparentabile per certi versi al filone post-apocalittico, per altri a un claustrofobico thriller e per altri ancora a una potente fiaba gotica, laddove anche i nomi delle tre ragazze remano in tal senso, Buio assorbe e travalica i generi per mettere in scena quel livido racconto di formazione, in cui un laido e ossessivo desiderio di controllo maschile è l’ostacolo che le tre protagoniste devono assolutamente superare, se vogliono guadagnarsi la libertà.
Eccellente a proposito il modo in cui Emanuela Rossi ha guidato sul set le giovanissime Denise Tantucci, Gaia Bocci e Olimpia Tosatto, brave ed intense quanto l’antagonista paterno Valerio Binasco, a sua volta un “villain” atipico, dalle molteplici sfumature.
La regia
Ma ancor più preparata e convincente ci è parsa la regista nella gestione degli asfittici spazi domestici, un elemento questo che lo studiatissimo montaggio e l’attenzione per le componenti atmosferiche, esaltate pure dall’ottima fotografia, hanno saputo ulteriormente rafforzare.
Sia la situazione di partenza che il modo di gestirla ci hanno pertanto ricordato, magari in piccolo, quel vero e proprio gioiello della settima arte che è Room di Lenny Abrahamson.
Sebbene certi archetipi, un tale scenario e i conflitti di generi percepiti al suo interno possano poi riportare, come accennato all’inizio, ad altre strutture drammaturgiche affini; anche in ambito teatrale, volendo, se solo si pensa alla (presunta) Apocalisse fuori e all’oppressivo rapporto uomo-donna descritto all’interno del bunker anti-atomico, in uno dei testi più tesi, folgoranti e crudeli proposti dalla scena teatrale anglosassone negli ultimi anni, ovvero After the End di Dennis Kelly.
Il trailer
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