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Due tra i più grandi film sulla resistenza, “Una vita difficile” di Risi e “C’eravamo tanto amati” di Scola, si concentrano sul dopo liberazione, con uno sguardo in qualche modo impietoso e privo di retorica.
C’eravamo tanto amati…
C’è qualcosa che non è andato per il verso giusto e alcuni dei protagonisti di quelle pellicole, protagonisti anche dell’avventura resistenziale nel racconto dei registi, pare non si riescano ad identificare nel mondo nuovo e democratico che hanno contribuito ad edificare.
Sono degli emarginati, dei vinti, ma non alla maniera di chi ha creduto ad altro, non alla maniera dei fascisti, sono vinti dal loro stesso sogno una volta che questo si è tramutato in realtà. Attenzione, qui parliamo di due registi di sinistra ma che parlano di un fallimento, prima che il mito fosse imbalsamato, e lo fanno senza grossi peli sulla lingua.
C’è una frase in particolare, del film di Scola con Gassman, la Sandrelli, Satta Flores immenso e Manfredi, che mi risuona spesso nella mente: “Vincerà l’amicizia o l’amore? Sceglieremo di essere onesti o felici?”. Si, perchè come molte grandi opere sulla storia o che hanno come sfondo la storia, quello era un film sull’amicizia.
Un film che ci dice che senza amicizia nessun sogno sopravvive alla sua imbalsamazione, al suo tradimento, tutto si corrompe. Anche l’amore.
Questa festa del 25 aprile per me non ha più granché senso da anni ma ogni volta mi sento di dire qualcosa sul punto.
Ogni volta di più sento di approssimarmi maggiormente alla mia personale idea di liberazione, aiutato dalle immagini che mi ronzano nella mente, dal Partigiano Johnny che combatte nelle Langhe e mi indica la strada di un antifascismo mai ideologico, quasi istintivo, nel quale non posso non identificarmi, a quella di Oriana staffetta partigiana fino a quelle fornitemi dal cinema, anche quello che sembra più lontano da quella vicenda, per esempio il Leone di “Giù la testa” con la sua idea di rivoluzione tradita.
Forse tutte le rivoluzioni finiscono per essere tradite, forse quella non fu nemmeno una rivoluzione ma la fine di una guerra civile, ognuno la pensa come crede. Su una cosa però ho le idee chiare. E ce l’ho pensando ad alcuni protagonisti della vita repubblicana venuta fuori dalla liberazione, da Mattei a Moro passando per Pasolini, fino, si, a Craxi (sapendo che su almeno due dei predetti non saremo tutti d’accordo).
Noi soffriamo per l’assenza di uomini così, uomini che hanno sfidato totem, anche quelli della loro parte ideologica. Uomini tormentati ma in qualche modo liberi, o con una tensione perenne verso la libertà.
Perché la libertà, come la democrazia, non sono stati, faccende date una volta per tutti, ma lavoro, percorso, conquista, appunto tensione e tormento. Dimensioni dell’anima da fortificare, non aree geografiche del mondo baciate dal Padreterno (la retorica odiosa del “mondo libero”). Mai dare nulla per scontato. Come nell’amicizia e nell’amore.
Come vedete, l’amicizia c’entra. Scrive Leonard Cohen in “The partisan” – dedicando questa canzone a quattro studenti uccisi in Ohio nel 1970, dunque in una democrazia (ma i versi originari sono di un partigiano francese, Emmanuel d’Astier de La Vigerie, detto Bernard) : “Ho cambiato nome cento volte, ho perso mia moglie e i miei figli, ma ho tanti amici“. Coltivate l’amicizia, il colloquio, la libertà, il tormento.
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