È impressionante la giravolta di Draghi perché l’accordo con la Turchia non è frutto di un ragionamento geopolitico a difesa dell’interesse nazionale, ma è dovuto alla semplice condizione di sudditanza dell’Italia nella Nato.
La giravolta di Draghi
Mi ha fatto davvero molta impressione la giravolta di Draghi su Erdogan, e questo non certo per ragioni banalmente “morali”. Trovo anzi piuttosto fastidiosa la retorica che oppone le democrazie occidentali ai paesi “autocratici”, dunque – secondo il senso comune – “politicamente inferiori”.
C’è in questa postura molto razzismo, molta protervia fondata su un profondo analfabetismo politico. Se è necessario, è giusto che l’Italia stringa accordi con la Turchia esattamente come in passato li ha stretti con la Russia o con la Cina.
Checché ne pensino le anime belle, la democrazia trova modo di espandersi proprio attraverso la diplomazia. Le stesse torsioni autoritarie della Russia sono aumentate (e aumenteranno) proprio a causa delle chiusure occidentali e in particolare europee.
Sono rimasto impressionato dalla giravolta di Draghi perché l’accordo con la Turchia non è frutto di un ragionamento geopolitico inserito in una strategia posta a difesa dell’interesse nazionale. Ma è dovuto alla semplice condizione di sudditanza dell’Italia nella Nato.
La guerra in Europa mi pare abbia infatti mostrato qualcosa che era evidente a tanti, e cioè che l’Italia non è più in grado di esprimere alcuna politica. È un paese che non crede in nulla e che sposa le battaglie sociali in modo frivolo e ridicolo (si pensi all’ecologia).
Non sa più pensarsi come paese, come comunità vincolata da ragioni culturali, giuridiche ed economiche. Draghi è l’uomo che certifica questo fallimento del paese, è un effetto molto più che la causa.
Per carità, ripeto, niente di veramente nuovo. Non esiste altro paese occidentale in cui si ricorre al “governo tecnico” o in cui il ministero dell’economia è da anni appaltato a forze e interessi estranei al gioco democratico.
L’applicazione del termine “tecnico” alla politica è diventato il modo con cui si cerca di mascherare la disgregazione statuale del paese, oramai deprivato della sua costituzione e delle istituzioni sovrane, ovvero parlamento e senato.
Non so come se ne verrà fuori. L’Italia è troppo grande e complessa per poter rinunciare a un minimo di autonomia politica e diventare un paese totalmente satellite. Ma non è nemmeno sufficientemente forte per poter facilmente uscire dal pantano neoliberale.
Non ha del resto più risorse morali, culturali e intellettuali. È un paese finito e Draghi è il curatore fallimentare.
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