Dopo la grande crisi pandemica gli interventi del PNRR, nel mantra continuo della comunicazione pubblica, sono il volano per far ripartire l’economia. Ma nessuno mette l’accento sul reale prezzo del Recovery Fund.
Il prezzo del Recovery Fund
Si parla entusiasticamente dei fondi del Recovery Fund come se cadessero da cielo per la generosità dell’UE e in particolare della Germania.
Si tratta in realtà di un prestito che lega mani e piedi del paese, un prestito che probabilmente non era nemmeno necessario dal momento che la BCE sta fornendo al paese condizioni di tassi molto favorevoli.
Eppure l’Italia si è buttata a capofitto in questa forma di finanziamento che in primissima battuta ha fatto cadere un governo e ha permesso che un tecnocrate, espressione massimo della cultura neoliberale, divenisse il dominus della politica italiana, esautorando di fatto il parlamento e sospendendo il processo democratico.
La contropartita del Recovery Fund non è però solo la nostra democrazia. La contropartita consiste anche nella processo economico che il governo sta imprimendo con l’avvio di nuove privatizzazioni, la riduzione del sostegno ai ceti più poveri e l’elargizione di bonus a un sistema imprenditoriale sostanzialmente marcio, ma su cui il presidente Draghi sta investendo per la propria continuità ideologica antistatalista e ostile al lavoro, ma anche per radicarsi in un referente sociale da cui discende la propria legittimazione informale a governare.
Come se non bastasse, il governo sta avviando il sostegno alla sanità privata, vero e proprio pallino della classe imprenditoriale italiana, che da anni agogna la privatizzazione di ospedali e strutture sanitarie.
Anche con un abile dirottamento della discussione pubblica su questioni futili, il governo sta riuscendo nell’impresa di trasformare la pandemia e le consenguenze economiche da essa prodotte nell’opportunità di realizzare un’involuzione postdemocratica di un paese ridotto in macerie su cui pochi privati costruiranno le proprie fortune. Il Recoveru Fund, c’è poco da fare, è il segno di un fallimento epocale.
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