La crisi ucraina e la pressione politica degli Usa stanno portando a una situazione di grande difficoltà l’Italia, il paese che, insieme alla Germania, dipende maggiormente dal gas russo.
La crisi ucraina e la questione energetica
Da questa vicenda del conflitto con la Russia ne stiamo uscendo con le ossa rotte. Non solo perché l’Italia non ha alcun interesse a seguire gli americani in questa assurda campagna ucraina, ma perché, molto più prosaicamente, assistiamo in queste settimane all’impennata dei costi energetici, i cui effetti toccano in maniera significativa il bilancio delle classi a reddito basso.
Il conflitto sta infatti portando a una situazione di grande difficoltà l’Italia, il paese che, insieme alla Germania, dipende maggiormente dal gas russo.
Occorre dire, a onor del vero, che per una volta la politica italiana (destra e sinistra) ha cercato nei primi anni duemila una soluzione con il progetto del South Stream e con l’idea di fare della penisola l’hub del gas europeo, anche attraverso gli attuali gasdotti e il progetto di costruire alcuni rigassificatori, che avrebbero consentito di differenziare le importazioni.
Questo piano è miseramente fallito per le numerose pressioni internazionali, soprattutto europee. Ai tedeschi non andava proprio giù che il nostro paese potesse assumere un ruolo strategico così importante e sono riusciti a imporre la costruzione del loro gasdotto.
Gli americani dal canto loro non ci hanno sostenuto e ci hanno anzi obbligati a finanziare il Trans Adriatic Pipeline, ovvero il TAP, la cui portata è quasi dieci volte inferiore al South Stream e circa sei volte meno del North. Senza poi contare che il gas azero del TAP è costoso.
Al fallimento ha poi contribuito la scarsa coscienza del problema energetico e una bizzarra concezione della geopolitica. Soprattutto a sinistra non si parla mai di energia se non in termini velleitari e sconclusionati, alieni da qualsiasi riflessione sulla funzione dell’industria e dello sviluppo.
Tutta la discussione sull’energia finisce nel calderone di un ambientalismo di facciata, dai toni moralistici e infantili.
Resta il fatto che senza un piano energetico l’Italia e la sua economia restano fortemente esposte alle volontà politiche extranazionali. Ma a noi italiani evidentemente i vincoli esterni piacciono.
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