“Strappare lungo i bordi” era in tendenza sui social già due ore dopo che Netflix l’aveva caricata. Alla fine, con Zerocalcare, c’è uno dei fenomeni generazionali più importanti di questi ultimi anni in Italia.
Con ‘Strappare lungo i bordi’ Zerocalcare fa centro ma…
Faccio fatica a parlare della serie di Zerocalcare. Faccio fatica perché in larga parte mi ci ritrovo: noi nati intorno al fatidico 1980, l’anno che secondo tutte le statistiche ha dato i natali alla generazione più sfortunata della storia repubblicana, eravamo e in parte siamo quella roba là, nel bene e nel male.
Ma faccio fatica anche perché in fondo, al netto delle gag riuscite, delle incertezze sentimentali molto verosimili, della narrazione sincopata e del turpiloquio un po’ pulp che capiscono fino in fondo solo quelli che appartengono alla mia generazione, ebbene al netto di tutto questo Zerocalcare dà anche una rappresentazione del tutto consolatoria e fasulla, da rigettare integralmente, soprattutto quando trascolora nel moralismo “divergent” divenuto ormai pervasivo.
Dico fasulla non perché menta, ma perché non dice che la generazione degli ‘80 – diciamo ‘77-‘83 o giù di lì – è stata distrutta da una menzogna di cui ancora non riesce a liberarsi. Complessivamente è una serie fatta bene, sia chiaro. In molti momenti è bella, non c’è dubbio. Ma è bella quanto superficiale, spoliticizzata e poststorica proprio come la generazione degli ‘80.
A guardarla ci si commuove, ci si riconosce, ma perdonatemi, non voglio arrendermi all’idea che l’autocommiserazione sia l’unica arma che ci è rimasta.
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