Che menzogna il diritto alla democrazia e alla libertà individuale proclamato da chi poi permette che pochi miliardari possiedano ricchezze più ampie di quelle degli Stati.
Di Francesco Erspamer*
Il falso mito della libertà individuale
Sono un antiliberista, un antiliberalista e un antilibertario, dunque non solo ostile al mito del libero mercato ma anche al mito della libertà individuale.
Cos’è la libertà? Non certo una virtù. Tutt’al più un diritto, come la felicità e la vita, ossia gli altri due valori sanciti dal documento fondativo del primo stato compiutamente capitalista, la dichiarazione d’indipendenza americana, e poco dopo ribaditi dalla rivoluzione borghese avvenuta in Francia.
Il trionfo del capitalismo e dell’utilitarismo avvenne allora e in quel modo: sostituendo a un sistema morale in cui agli individui veniva chiesto di agire e sacrificarsi per il bene comune e pubblico (ossia virtuosamente), con un sistema amorale in cui alla collettività è stato chiesto di agire per il bene personale e privato (ossia liberalisticamente). Pensateci: le virtù domandavano a ciascuno di fare qualcosa per gli altri; le libertà semplicemente sanciscono il diritto di avere qualcosa dagli altri.
Difficile per me capire, peraltro, cosa significhi avere un diritto. O lo sanciscono la legge o la consuetudine ed esistono uno Stato o una comunità in grado di imporlo, oppure si tratta, in particolare quando accompagnato dai velleitari e totalitari aggettivi “universale” o “umano”, solo di un’illusoria aspirazione, di una vuota promessa, di uno slogan propagandistico o, peggio, di un dogma ideologico però mascherato da caratteristica della natura umana se non della natura.
A che serve affermare che lo schiavo o il servo o il consumatore compulsivo o l’analfabeta funzionale avrebbero diritto alla libertà? Meglio aiutarli a lottare contro i loro padroni, oppressori o manipolatori, in modo che la libertà se la conquistino con la coscienza e la forza, dopo di che, quando l’avessero conquistata e sapessero difenderla, semplicemente ce l’avrebbero e non ci sarebbe più bisogno di definirla un diritto. Sarebbe un fatto.
Ecco, io credo che la libertà, al pari della democrazia, sia una condizione, auspicabile per gli individui e per le nazioni ma che non possa esistere finché non sia concretamente e continuamente praticata, e che smetta di esistere quando non lo sia.
Che menzogna il diritto alla democrazia proclamato da chi poi permette che pochi miliardari possiedano ricchezze più ampie di quelle degli Stati, con le quali comprarsi giornali e giornalisti, partiti e politici, istituzioni e intellettuali.
Che menzogna la libertà di essere quello che si vuole, anarchicamente e egoisticamente, quando i mezzi di produzione e persuasione siano sempre più concentrati nelle mani delle multinazionali e dei loro apparati.
Che pacchia per i ricchi e per i loro cortigiani non avere alcun dovere: non alla giustizia, alla temperanza, alla prudenza, alla fortezza (erano chiamate cardinali), non alla carità, alla speranza, alla fede (teologali), non alla magnanimità, al coraggio, alla generosità, alla mansuetudine (etiche), non alla sapienza e all’arte (dianoetiche).
Tutte parole e concetti desueti, anche per le decine di milioni di italiani che in un’Italia virtuosa ci starebbero meglio. Invece si accontentano della libertà di proclamarsi liberi.
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