Il 21 gennaio 1924 si spegne a Gorki il punto di riferimento principale del proletariato mondiale, Vladimir Il’ič Ul’janov. Più semplicemente, Lenin.
Di Mauro Antonio Miglieruolo.
In morte di Lenin
Triste rievocazione della morte di un grande rivoluzionario. Particolarmente triste in quanto concerne uno il cui nome, Lenin (esattamente Vladimir Il’ič Ul’janov) è stato motivo di terrore (lo è ancora) per la borghesia mondiale, per i moderati e i reazionari di ogni partito, per coloro che odiano visceralmente i lavoratori, del cui sangue si nutrono e i cui diritti hanno in spregio.
Si spegne a Gorki, il 21 gennaio 1924 una grande anima, la guida cosciente del processo di trasformazione della Russia, scompare il punto di riferimento principale del proletariato mondiale.
La sua opera oggi sembra del tutto disfatta, seppellita. Un nemico implacabile dei lavoratori è tornato al Cremlino, mentre il concetto stesso di progresso prima ancora che quello di rivoluzione sembra scomparso dall’orizzonte degli eventi.
Il buco nero della controrivoluzione borghese ha integralmente assorbito la rottura operata dall’Ottobre 1917 sul piano ideologico, mentre recupera giorno dopo giorno sul piano economico. Con una avanzata così travolgente che spinge la borghesia a infierire oltre i suoi stessi interessi. “Costringendo” i lavoratori a riorganizzarsi per lottare.
Lenin è morto consapevole dei pericoli che, lui ancora vivo, insidiavano la grande costruzione della sua vita e dell’intero proletariato russo. A un certo punto dichiara di sentirsi come un guidatore che ha perso il controllo dell’auto, come stesse viaggiando su una lastra di ghiaccio e la macchina andasse in direzione opposta a quella decisa manovrando con il volante.
Il crescere della burocrazia nell’apparato di Stato e nel partito; il rafforzamento tramite la NEP degli elementi borghesi ai quali il governo rivoluzionario è dovuto ricorrere per far funzionare lo Stato; i ritardi teorici del Partito stesso; l’assenza di un possibile erede in grado di assicurare l’unità della formazione ideologica-politica bolscevica e di guidarla nelle nuove tempeste che si stavano preparando sul piano interno e quello internazionale.
Nessuno dei suoi più importanti collaboratori infatti – né Trotsky, né Stalin e nemmeno Bucharin – offrono garanzie di essere all’altezza dell’immane compito di guidare la nuova (necessaria) offensiva del proletariato russo.
Inventare il futuro restando aderente al concreto delle situazioni – tenendo conto delle difficoltà non per farsene accecare, ma usarle per spingersi in avanti – non è da tutti. Non è da tutti soprattutto mantenere la barra dritta, senza oscillare sotto i colpi della borghesia. Occorre – sosteneva Lenin – assumere sempre il punto di vista operaio, sia nelle decisioni politiche, sua nelle letture di Marx, nel quale bisogna inoltrarsi guidati dallo stesso spirito rivoluzionario che informava l’autore de Il capitale.
Una quarantina di anni più tardi Althusser definirà meglio tale necessità (in «Leggere il Capitale», «Per Marx» e altri libri) nei quali svilupperà, tra gli altri, il concetto di «lettura sintomale»; una lettura capace di individuare nel pensiero di Marx i passi in cui… non è marxista; e nello stesso tempo sviluppare i passi dei quali ci sono stati forniti i soli rudimenti. Nemmeno il pur brillante Trotsky è in grado di ottemperare a tale esigenza.
Lenin ci prova. Ci prova a uscire dalle secche dell’economicismo e storicismo che informano il partito russo. «Stato e Rivoluzione» ne è solo la prova più conosciuta. Lo sono anche le lotte interne al partito; contro la tendenza di destra, di sinistra e “destra sinistra”. La morte prematura ha interrotto una ricerca che lo avrebbe potuto portare lontano.
Inutilmente tenterà di intervenire per sottrarre il Partito ai due più grandi problemi soggettivi che sarebbero stati concausa nel crollo della «Dittatura del Proletariato» alla fine degli anni Venti. Le masse, sfiancate da quasi un decennio di guerra, non sono in grado di soccorrerlo.
I problemi materiali della sopravvivenza incombono. Il clima politico è del tutto deteriorato. Lo steso partito comunista dominato dall’opportunismo, dalla pratica di decidere per le masse (della cui opinione si tiene sempre meno conto) fatica a capire e intervenire per sciogliere i nodi politici in formazione.
Premono varie urgenze politiche, la cui soluzione è vitale: trovare un diverso segretario per il Partito; sfuggire alle strettoie del fordismo; ridimensionare la influenza crescente della burocrazia; mettere i militanti all’erta sui pericoli insiti nel dualismo fra Stalin e Trotsky eccetera.
Inutilmente Lenin si rivolgerà, in prossimità della morte, al Comitato Centrale affinché intervenga in merito. L’organizzazione è di nuovo lontana dai suoi convincimenti. Si pone il problema di un aspro confronto interno per raddrizzarne la rotta, quale ci fu in Aprile e alla vigilia dell’Ottobre stesso. Potrà solo iniziarlo con due lettere esplicite sul tema dell’eredità politica. Rimarranno ambedue lettera morta.
Il deragliamento politico-istituzionale temuto si verificherà, portando a una situazione tale che la Krupskaja già nel 1925 sarà indotta a dichiarare: «se Lenin fosse in vita oggi sarebbe in prigione». Quel che è accaduto dopo ha portato tutti noi alla galera di questi giorni.
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