Agli occhi dell’assessore alla Sicurezza di Voghera, il leghista Massimo Adriatici, Youns El Boussettaoui sintetizzava le colpe più intollerabili per un razzista. Era immigrato, veniva dal Marocco e aveva un permesso di soggiorno scaduto.
Il pugno di El Boussettaoui
El Boussettaoui era disoccupato, dunque un parassita, un fannullone, un povero che vive sulle spalle altrui. E poi era malato, aveva già ricevuto un Tso; le tante preoccupazioni, i due figli da mantenere, l’incapacità di inserirsi avevano reso quest’uomo mentalmente fragile e bisognoso di cure.
Come nei peggiori feuilleton a chi porta lo stigma della povertà non è però concesso di avere una psicologia, una lacerazione interiore, un senso di crisi esistenziale invece riconosciuto a chi è socialmente ed economicamente integrato.
Cosa nasconde del resto la frase tipicamente razzista secondo cui “gli immigrati possono venire da noi solo se rispettano le nostre regole”?
Per poter essere meglio sfruttati, sottopagati, sottomessi è necessaria un’opera di disumanizzazione che trasforma i subalterni in cose vagamente animate a cui impartire ordini.
Nella mentalità razzista l’immigrato non soffre, non ha una psicologia, non prova passioni che non siano strettamente legate alle necessità materiali primarie. Figuriamoci se può soffrire di depressione!
Il pugno di Youns El Boussettaoui deve essere dunque apparso come un’onta inaccettabile, come una ribellione inconcepibile, come lo sfregio all’onorabilità cittadina dell’assessore.
Per questo, (presumibilmente) e non per legittima difesa, dopo essere caduto Massimo Adriatici ha caricato l’arma e ha sparato.
Di fronte non aveva un uomo, ma una bestia da sopprimere, una vita indegna.
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