“Se si dovesse fare il nome della personalità che più ha avuto influenza sul Paese nell’ultimo quarto di secolo non credo possano esserci dubbi: Maria De Filippi alias Maria, come è amorevolmente chiamata dal suo pubblico…” questo l’incipit dell’articolo di Stefano Cappellini su Repubblica per parlare dei 60 anni della conduttrice mediaset.
L’ultima gramsciana è Maria De Filippi?
Non occorrono grandi sforzi interpretativi per smentire questa solenne…come definirla? Provocazione? Ma è forse proprio la sua banalità a lasciarmi disarmato. Il bello è che proprio Gramsci ha promosso nei suoi Quaderni l’idea che i prodotti culturali debbano concorre a costruire una nuova civiltà attraverso la sintesi tra le grandi tradizioni e le emergenti istanze popolari.
Tutto il contrario di quanto fatto da Maria De Filippi e dalla sua ributtante televisione. L’idea di Gramsci era quella di elevare le classi popolari a soggetto della storia erede del passato, ma capace di saper stare dentro i grandi conflitti del presente per costruire un futuro di progressiva emancipazione. Non era quella di imbarbarirle e spingerle verso modelli culturali meschini, individualistici e fintamente provocatori.
Lasciatemi però dire che l’imbarbarimento non è dovuto solo al lento logoramento promosso dalla tv berlusconiana. A questa regressione hanno contribuito largamente anche quei soggetti appartenenti a quella che è stata definita la “sinistra intellettuale benestante”.
Mi riferisco agli appartenenti a quei settori politici e culturali che si sono auto intestati la patente di progressisti e che spesso fanno capo proprio al quotidiano la Repubblica.
Questa parte di società si auto rappresenta spesso come la parte più avanzata del paese: come la più moderna, civile, europea, colta e rispettabile. Si tratta in realtà di una soggettività politica estremamente conformista e classista, che sul piano politico si è assunta il compiuto di mediare l’adesione all’immaginario neoliberale delle classi medie e medio basse.
A quest’area appartiene una parte non piccola dell’intellettualità nostrana afferente all’accademia, ai giornali, alle case editrici e ai centri studi. Al suo interno anche Gramsci deve essere normalizzato, depurato degli elementi critici, adattato al contesto e alle finalità politiche dominanti.
Il pensatore sardo è del resto troppo grande per essere messo ai margini, ma anche troppo pericoloso per lasciare che il suo pensiero si diffonda liberamente.
Non resta allora che banalizzarlo e disinnescare il portato critico delle sue categorie attraverso un’idiozia come quella del titolo di questo articolo.
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